di Marino Freschi

Lesesaal der Bibliothek im KG IVGiorni or sono parlavo con un collega, professore universitario, che mi raccontava che le sue figlie sono “emigrate”, una a Vienna e l’altra a Barcellona. La prima perché da noi non trovava un impiego corrispondente alla sua preparazione (dottorato, post-dot. ecc.), la seconda perché studia economics e la prima università italiana (quella di Tor Vergata) nelle classifiche internazionali appare al 73° posto. Eravamo per studio in Germania, a Friburgo, davanti alla nuova biblioteca universitaria aperta da un mese (nella foto, una delle sale di lettura). Un edificio architettonicamente ardito, di notte completamente illuminato. E sì, perché di notte non chiude: è sempre aperta 24 ore su 24, 7 giorni su 7. E non è la sola biblioteca tedesca sempre aperta. I lettori “notturni” – di norma studenti e docenti – sono muniti di una “card” elettronica per entrare. Il personale dopo le 20 (che per l’Italia è già un’ora avanzatissima) si riduce; alcuni servizi – come il prestito – vengono interrotti. La biblioteca viene mantenuta aperta da studenti che ricevono un assegno per questo servizio, che è anche un valido segnale per il curriculum. Quando ne ho parlato in Italia ad addetti alle biblioteche e al funzionamento delle strutture scientifiche, apriti cielo! I sindacati non consentirebbero mai, si creerebbe un precariato, le ASL sarebbero nettamente contrarie e così l’INAIL, i vigili del fuoco… Tutti argomenti che hanno una loro coerenza e serietà. Resta il fatto che le nostre istituzioni scientifiche hanno orari a dir poco indecenti, spesso con una concentrazione di personale solo nelle fasce orarie 8-14. Nella stragrande maggioranza delle biblioteche dipartimentali (ammesso che aprano) si chiude alle 15, al massimo alle 17. E ovviamente nei fine settimana e nei periodi estivi sono sempre chiuse. E la tendenza è a ridurre piuttosto che ad allungare orari e periodi, ignorando che molti studiosi stranieri vorrebbero volentieri lavorare scientificamente da noi.

Questa estate era caldo in tutta Europa e le biblioteche tedesche e inglesi erano affollate da stranieri, tra cui numerosissimi gli italiani. Molti anni fa parlando con il più famoso Assessore alla Cultura che Roma abbia avuto, appena eletto e nominato all’incarico, gli feci presente che ora con il “partito” al governo della città, gli orari delle biblioteche sarebbero cambiati, consentendo a tutti anche di notte a frequentare le istituzioni culturali: biblioteche e musei. Mi rispose ironico: “E quanti voti guadagneremmo?”. In realtà l’invenzione dell’“Estate Romana” con l’ideologia leggera, simpatica e creativa dell’“effimero” (in filosofia si scopriva, intanto, il “pensiero debole”) ebbe un successo strepitoso, indimenticabile e copiato, senza pari fortuna, da molte altre città. Nel frattempo l’effimero è tramontato, le Estati Romane si sono immiserite in stereotipate reiterazioni dell’uguale, comunque costose. Si moltiplicano caso mai i festival, ma non si mette mano a riforme sostanziose, anche se nell’immediato non portano voti, ahimè. E i giovani se ne vanno sempre più numerosi: una tendenza in costante aumento, un’autentica emorragia che comporta una perdita sia economica sia intellettuale, per non parlare dei drammi esistenziali che questa diaspora silenziosa comporta, ma sembra che questo non importi a nessuno che rivesta incarichi pubblici, tutto si blocca con mille e mille veti reciproci, i famosi lacci e laccioli che segnalano l’invecchiamento del paese, che non ama più i suoi giovani.

* Germanista e scrittore.

 

 

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