di Giuseppe De Lorenzo

images“Gli dirò che non credo in un mondo diviso in sfere d’influenza”. Così Barack Obama ipotizzava un suo possibile colloquio con Putin. Queste parole tradiscono in parte la preoccupazione americana, dimostrandone la consapevolezza che la Russia possa effettivamente ritrovare piena leadership in Oriente. Obama, cui è stato più volte rimproverato di aver condotto una politica estera troppo soffice per la superpotenza che è chiamato a guidare, negli ultimi tempi sta alzando il tono dello scontro. Il Presidente è profondamente persuaso dall’idea che oggi le guerre siano economiche e non più militari, per questo ha considerato il dispiegamento di forze russo in Ucraina e nei territori occupati dai filorussi “una mossa antistorica”. Anche Putin sembra averlo capito e per questo sta portando avanti una politica economica capace di slegarlo dalla dipendenza finanziaria che lo lega all’Occidente. La guerra fredda, ormai, è superata. Eppure, la Russia, con gli ultimi accordi siglati e con le decisioni prese in merito alla crisi in Ucraina, ha dimostrato di volersi ritagliare uno spazio più che ingombrante nel panorama geopolitico mondiale. Può davvero dirsi conclusa, dunque, la lotta a distanza tra Usa e Russia? Inoltre, è necessario porsi anche la domanda sul ruolo che in questo nuovo contesto geopolitico potrà avere l’Unione Europea, nata proprio con l’intento di dare al Vecchio Continente l’autonomia politica ed economica tale da poter divenire il terzo polo di un bipolarismo mondiale che sembrava ormai in crisi.

Tra le varie strategie per rendere realizzabile una simile ambizione, vi era quella di coinvolgere quanto più possibile la Russia nel contesto politico europeo, trascinando Mosca verso Bruxelles. In questo modo, si pensava possibile scongiurare una svolta russa verso l’Unione Eurasiatica. In una recente intervista, l’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi, già ambasciatore negli Stati Uniti, ha denunciato la posizione dell’Europa in merito alle vicende russe. Secondo il diplomatico, infatti, l’Europa avrebbe dedicato troppe risorse al “partenariato orientale”, senza porsi il problema del “progetto eurasiatico di Putin, teso a ricostruire uno spazio di vicinato filorusso nel quale ci fosse un richiamo a qualcosa di simile alla Russia imperiale”. L’Unione Europea potrebbe quindi aver commesso quest’errore, se così si lo si vuol considerare, e sono sempre più i movimenti politici europei – in alcuni casi anche maggioritari, come in Francia – che oggi guardano con rinnovata ammirazione alle decisioni politiche di Putin. Sicuramente, le scelte di Bruxelles sono state ambigue e ne hanno precluso l’affermazione politica.

Dopo la decisione di “difendere i russi in territorio ucraino dall’aggressione del governo di Kiev”, Putin ha dato il via ad operazioni che hanno reso evidenti le nuove mire degli eredi dell’impero sovietico. Non solo, dunque, l’annessione ratificata della Crimea. Ma anche lo storico accordo energetico che è stato raggiunto con la Cina. Un contratto trentennale, con cui la Russia si assicura l’apertura di un mercato fino ad ora ridotto e la Cina si garantisce l’approvvigionamento energetico futuro. Le firme apposte dai rappresentanti di Gazprom e del Cnpc, sotto la supervisione dei rispettivi governi, dimostrano due fatti: il primo, che la Russia sta cercando di allargare i propri interessi verso la maggiore economia asiatica, spostando ad Est parte delle sue attenzioni; il secondo, invece, è di natura politica: a seguito della crisi Ucraina, infatti, la Russia ha subito importanti sanzioni economiche da parte degli Stati Uniti e dei paesi europei. Differenziare maggiormente il mercato nazionale evidenzia la volontà di ridurre la propria vulnerabilità finanziaria. Il prezzo cui è stato trovato l’accordo – peraltro – è nettamente inferiore (350 dollari contro 380,5 dollari per metro cubo) a quello pagato dall’Europa occidentale, a dimostrazione che vi era necessità di chiudere quanto prima l’accordo così da ridurre la pressione delle sanzioni economiche. Putin e Xi Jinping lo considerano inoltre come il primo passo per il rafforzamento dell’interscambio bilaterale e per una riconfigurazione degli equilibri nell’area asiatica.

Il 25 maggio il Presidente russo è volato ad Astana per firmare, insieme ai leader di Bielorussia e Kazakistan, gli accordi per l’Unione Economica Eurasiatica, che secondo quanto riportato dallo stesso capo del Cremlino “porterà la cooperazione ad un nuovo livello”. I tre paesi, infatti, dal 2015 daranno vita ad una cooperazione in stile CEE, con libera circolazione di persone, servizi e capitali. Una firma storica, se si considera che, presi collettivamente, controllano il 15% delle riserve petrolifere e un quinto di quelle di gas. Questa unione, se allargata, potrebbe mettere a repentaglio la posizione privilegiata in termini economici assunta dall’Ue ed il primato energetico americano.

In Occidente, come abbiamo visto, la decisa virata verso est di Putin ha destato non poche preoccupazioni. Obama, dunque, è dovuto tornare a riaffermare pubblicamente il ruolo dell’America come “guida del mondo”. Una “potenza senza pari”, ha detto davanti ai cadetti di West Point, proprio negli stessi giorni in cui Putin siglava l’accordo con gli ex paesi dell’Unione Sovietica: “la nostra Difesa non ha pari nel mondo, la nostra economia è la più forte, il nostro business il più innovativo: siamo e restiamo l’hub del mondo”. Nell’occasione, Obama ha anche rivendicato quanto fatto durante la crisi in Ucraina. Ma, nonostante le parole ottimistiche, non si può non rimanere stupidi del cambiamento di tono da parte del leader americano dopo le mosse del Cremlino. Obama fa la voce grossa e cerca l’appoggio dei paesi europei. A riprova di ciò, è possibile sottolineare due decisioni dell’amministrazione americana. La prima, è quella di premere l’acceleratore per le trattative sull’accordo di partenariato trans-atlantico, il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), che dovrebbe prevedere l’apertura di alcuni mercati tra Usa ed Europa, facilitando la mobilità di merci e capitali. La seconda, è esemplificata dalle parole pronunciate in Polonia in occasione del venticinquesimo anniversario della ritrovata indipendenza polacca. Obama ha garantito ai paesi dell’Est Europa un aumento degli sforzi dell’esercito americano per “difendere qualunque paese dell’Alleanza che finisca sotto attacco”. La forte presa di posizione da parte di Obama impressiona, perché insolita rispetto alla linea estera tenuta finora.

Sia sull’accordo di partenariato che nei confronti della Russia, però, l’Ue ha mantenuto un atteggiamento ondivago, incapace di scegliere da quale parte stare, dipendente da una parte economicamente e militarmente dall’America e dall’altra dall’energia di Mosca.

Mentre la Russia guarda ad Est e gli Stati Uniti mostrano i muscoli, l’Europa – che sembra aver fallito l’obiettivo di creare un terzo polo – è ora chiamata ad assumere una posizione più decisa.

 

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