di Alessandro Campi
Il problema – ha scritto qualche giorno fa Il Foglio di Giuliano Ferrara – è chi lo dice a Berlusconi. Tutto sarebbe pronto per la sua sostituzione in corsa con Angelino Alfano, benedetta dal Quirinale, dai maggiorenti del Pdl, dalla Chiesa e dall’opposizione cosiddetta moderata, ma chi si prende la briga di comunicarlo de visu al diretto interessato? E che speranze ci sono di convincerlo, visto che di lasciare volontariamente la carica di Presidente del Consiglio, a detta di chi lo frequenta e conosce bene, il Cavaliere non ha, né mai ha avuto, alcuna voglia?
Se mai dovesse decidersi al grande passo, come si favoleggia da alcuni giorni nei conciliaboli, sarebbe dunque per una necessità politica o costrizione esterna. Si possono immaginare all’uopo tre scenari. L’improvviso venir meno, per una qualunque ragione, della sua maggioranza. Il montare inarrestabile delle inchieste giudiziarie e del fango ad esse connesse. L’aggravarsi tragico della crisi economica. Proviamo a vederli da vicino.
Il primo appare assai labile. In Parlamento Berlusconi continua ad avere una maggioranza che per quanto politicamente composita appare al dunque numericamente solida. Che possano esserci, da qui a breve, incidenti di percorso o defezioni clamorose nel corso di votazioni delicate è da escludere. Un’assemblea di nominati dall’alto – che peraltro hanno come massima ambizione quella di chiudere la legislatura – è per definizione docile e priva di autonomia. Come se non bastasse, nel corso della recente manovra finanziaria le prerogative di deputati e senatori sono state largamente salvaguardate: nessuna riduzione del numero dei parlamentari e tagli di poco valore per quei rappresentanti del popolo che cumulano il reddito politico con quello professionale. In che modo e perché un’armata del genere dovrebbe fare scherzi a chi da un lato controlla i parlamentari della sua parte uno per uno e dall’altro li vezzeggia e li asseconda in ogni loro capriccio?
Il secondo scenario – quello riguardante i processi e le indagini sul suo conto – è un film già visto, del quale si conosce il finale. In questi vent’anni, come una salamandra, Berlusconi è uscito indenne da tutte le inchieste giudiziarie che lo hanno riguardato. Vuoi perché assolto, vuoi perché nel mentre si sono prescritti i reati, vuoi grazie alle normative ad hoc votate dalla sua maggioranza e ai cavilli costruiti ad arte dai suoi avvocati-parlamentari.
Quante volte si è detto – esattamente come in questi giorni – che dalla carte delle Procure sarebbero uscite rivelazioni, prove, sussurri e insinuazioni talmente gravi e compromettenti da costringerlo a dimettersi per sfuggire alla universale riprovazione? Lo si è detto, ma non è mai accaduto: si parlasse di corruzione, di fondi neri o di feste galeotte. Cosa mai ci consegneranno le carte baresi o napoletane di così sconvolgente sulla sua personalità, sulle sue abitudini private e sul modo con cui il Cavaliere intende le istituzioni e il bene pubblico che già non ci sia stato raccontato con dovizia di particolari nel corso degli anni? Ci aspetta forse un grande polverone, ci saranno le solite polemiche sui giornali, ma che Berlusconi possa dimettersi sull’onda di uno scandalo (che nel suo caso sarebbe l’ennesimo) è proprio da escludere.
Resta la terza possibilità, quella di un acuirsi a breve delle difficoltà finanziarie dell’Italia. Possibilità tutt’altro che remota e della quale qualche giorno fa s’è avuta una preoccupante avvisaglia con le dimissioni dal comitato esecutivo della Bce del rappresentante tedesco Juergen Stark: l’acquisto di titoli di stato italiani da parte dell’Istituto di Francoforte, a sostegno del nostro debito pubblico, non è più tollerato dalla Germania. Come faremo nelle prossime settimane senza l’aiuto finanziario dell’Europa?
E’ probabile, se la Bce sospenderà o ridurrà il suo appoggio ai nostri titoli, che ci vengano chieste ulteriori misure di contenimento della spesa e riforme ben più strutturali di quelle adottate nella manovra appena approvata dal Senato. A quel punto si scoprirebbe che Berlusconi non ha né la maggioranza parlamentare né la volontà politica né l’interesse elettorale per mettere mano, ad esempio, alla riforma delle pensioni, per tagliare ancora di più i trasferimenti agli enti locali o per varare nuove tasse (magari la tanto deprecata patrimoniale).
Ma in una situazione del genere – che equivarrebbe ad un vero e proprio commissariamento dell’Italia da parte dell’Europa – potrebbero avere corso i pacifici scenari che si vanno leggendo sui giornali in queste ore? Insomma, sarebbe davvero possibile un governo nuovo (guidato da Alfano o da un’altra personalità gradita al Cavaliere) sostenuto però da una maggioranza vecchia (quella che attualmente appoggia Berlusconi con magari qualche piccolo innesto centrista)?
Se serviranno ulteriori misure “lacrime e sangue” è facile immaginare, ad esempio, che la Lega si tirerà del tutto fuori dalla partita, per intestarsi la battaglia propagandistica a difesa delle pensioni dei lavoratori e contro le ingerenze dei tecnocrati europei nella vita dei cittadini italiani. Senza contare il refrain, che il Carroccio ha già cominciato a intonare, su una crisi per la quale la Padania produttiva e laboriosa non porta alcuna responsabilità, essendo ogni colpa da imputare alla burocrazia romana, alla sinistra statalista e al lassismo meridionale.
Ma lo stesso Pdl, una volta che il Cavaliere dovesse rinunciare al suo mandato perché pressato dai mercati internazionali, che interesse avrebbe a sostenere, e magari anche a guidare con un suo uomo, un governo politico di larghe intese il cui obiettivo principale sarebbe gestire una dolorosa emergenza? Non gli converrebbe lasciare ad altri l’incombenza di affrontare la crisi e di adottare provvedimenti destinati ad accrescere il malcontento popolare? Ma come si fa a formare un nuovo governo – di salvezza nazionale, tecnico o chiamatelo come vi pare – se Lega e Pdl non offrono il loro sostegno parlamentare?
Per riassumere. Il Cavaliere spontaneamente non si dimetterà mai, dal momento che, a dispetto dei malumori e delle voci che si rincorrono all’interno della sua maggioranza, ancora la controlla con pugno di ferro; quanto agli scandali e agli sfregi alla sua immagine prodotti dalle inchieste, semplicemente non se ne cura. Chi trama alle sue spalle, immaginando una transizione morbida o pilotata che lo consegni al ruolo di padre nobile, può dunque dormire sonni tranquilli.
Potrebbe andarsene, abbiamo detto, solo perché incalzato da investitori e mercati internazionali. Ma in questo caso non si capisce perché i suoi parlamentari e alleati dovrebbero sostenere un governo chiamato a fare ciò che il centrodestra in questi mesi – vuoi per paura di perdere voti, vuoi per coerenza con la propria visione ideologica, vuoi per interesse di parte – si è ben guardato dal fare: dal riformare le pensioni al modificare la legge elettorale, dal ridurre i costi della politica e dell’alta burocrazia al toccare i redditi più alti.
Per concludere. O ci teniamo Berlusconi sino al 2013, tra fibrillazioni e scossoni ai quali ha però dimostrato di saper sopravvivere. Oppure, se mai quest’ultimo dovesse cadere, non resta, numeri alla mano, che andare a votare. Che è forse il modo più serio e trasparente per affrontare le difficoltà in cui ci stiamo dibattendo.