di Luca Ozzano

Nella stampa americana non sono mai mancati libri e altre pubblicazioni fortemente critiche dei presidenti in carica. Già Bill Clinton, per esempio, era stato bersaglio di un’intensa attività editoriale ai tempi del tentato impeachment dopo lo scandalo Lewinsky. Questi precedenti tuttavia impallidiscono – anche grazie allo sviluppo di fenomeni come la blogosfera e i social media – di fronte al florilegio di libri, libelli e articoli sulla figura di Barack Obama, spesso promossi e sostenuti dai media conservatori come Fox News e da anchormen come Glenn Beck e Rush Limbaugh. Scrivere un’opera critica sul presidente può anzi rappresentare una scorciatoia sia per arrivare alla tribuna televisiva, sia per raggiungere le vette delle classifiche editoriali. Questo ha portato non solo ad una moltiplicazione delle opere, ma anche ad una parallela ricerca di temi sempre innovativi, che non di rado sfociano in vari tipi di teorie del complotto. All’avvicinarsi delle elezioni presidenziali del novembre 2012, è quindi interessante fare una rassegna della produzione che ha avuto luogo, sia durante la campagna precedente, sia nei quattro anni di presidenza Obama.

I più vocali critici di Obama, almeno nei primi anni della sua presidenza, sono stati probabilmente i birthers, coloro che sostengono che Obama non è nato in America. Proposta inizialmente da sostenitori di Hillary Clinton durante le primarie del 2008, questa tesi è stata poi portata avanti con assoluta dedizione non solo da politici e anchormen conservatori, ma anche da una figura extra-politica di spicco come Donald Trump. La decisione del Presidente di rilasciare una copia del suo certificato di nascita nell’aprile 2011 (documento poi effigiato su tazze e altro merchandising della campagna 2012) non ha tuttavia messo a tacere completamente i birthers. Secondo le varie versioni di questa teoria – esposte in volumi come Where’s the Birth Certificate? di Jerome Corsi, e in centinaia di blog – Obama non sarebbe nato alle Hawaii, ma in Kenya (patria del padre Barack Obama sr.) o in Indonesia (patria del secondo marito della madre, Lolo Soetoro); o, in alternativa, benché nato negli USA, non avrebbe potuto candidarsi alla presidenza (in base a particolari interpretazioni della Costituzione) avendo un padre non cittadino americano; o ancora avrebbe perso la cittadinanza americana durante il suo soggiorno di alcuni anni in Indonesia.

Quest’ultima versione si associa ad un’altra popolarissima accusa contro Obama, quella secondo cui il presidente sarebbe musulmano, motivata in primo luogo con l’affiliazione religiosa sia del padre sia del patrigno, oltre che con il secondo nome del Presidente, Hussein (regolarmente citato dai media conservatori, per i quali il Presidente è sempre “Barack Hussein Obama”). La versione più estrema di questa teoria afferma che Obama avrebbe frequentato per quattro anni una scuola religiosa durante il soggiorno in Indonesia. Benché questo particolare non sia vero, in molti (a partire dal conduttore radiofonico Rush Limbaugh) hanno messo in evidenza che durante la sua istruzione in Indonesia il piccolo Barack venne registrato come musulmano (per l’appartenenza religiosa della famiglia del patrigno). A causa del diffondersi di queste dicerie (sui media, ma in particolare attraverso mail che hanno diffuso anche una foto artefatta in cui si mostra Obama che giura in senato non sulla Bibbia ma sul Corano) ancora oggi un americano su dieci – ma la percentuale sale vertiginosamente tra i repubblicani più conservatori – è convinto che il presidente sia musulmano.

L’autentica affiliazione religiosa del Presidente, alla United Church of Christ del reverendo Jeremiah Wright, ha tuttavia contribuito ad alimentare un’altra diceria, secondo la quale Obama sarebbe amico di terroristi e di attivisti anti-americani. Questa tesi è divenuta celebre durante la campagna elettorale del 2008, quando sono stati resi pubblici alcuni sermoni di Wright, in cui affermava che gli USA hanno praticato il terrorismo di stato contro i nativi americani e contro nazioni come Libia e Giappone, e suggeriva che gli attacchi terroristici contro l’America siano stati il frutto di queste politiche criminali. Alla vicenda Wright (che costrinse l’allora candidato a dissociarsi dal pastore e poi a ritirare la propria affiliazione alla sua chiesa) si sono poi aggiunte altre presunte rivelazioni sui trascorsi a Chicago di Obama, in particolare la sua frequentazione di Bill Ayers, che negli anni ’70 era stato militante dell’organizzazione eversiva di sinistra Weather Underground. Obama, che aveva effettivamente conosciuto Ayers nel corso della sua attività politica, ha affermato – naturalmente senza essere creduto – di non avere mai intrattenuto rapporti stretti con lui e ha condannato il suo passato da terrorista.

Il collegamento con Ayers ci porta anche al più famoso epiteto attribuito ad Obama dai suoi avversari di destra: quello di socialista. Secondo questa tesi Obama vorrebbe imporre agli americani una redistribuzione forzata della ricchezza e una limitazione di diritti (per esempio quello di portare armi), trasformando così gli USA in una “socialdemocrazia di stampo europeo”. Suggerita apertamente non solo dai columnist conservatori, ma anche dallo stesso avversario del 2008 John McCain, questa tesi è stata poi portata avanti con determinazione da buona parte della destra, in particolare dopo che il Presidente ha varato la sua riforma della sanità. Una riforma ritenuta, appunto, un esempio di welfare redistributivo di tipo europeo, alieno allo spirito e alla Costituzione degli USA, che sarebbe parte della “più ambiziosa agenda socialista nella storia di questa nazione” (Sean Hannity). Secondo Glenn Beck, volto di punta di Fox News, questo piano non sarebbe altro che la realizzazione pratica delle tesi proposte mezzo secolo fa dai sociologi Richard Cloward e Frances Fox Piven, che vedevano in una destabilizzazione del sistema del welfare americano la scorciatoia per arrivare ad un sistema socialista caratterizzato da un reddito minimo garantito.

Una variante della tesi socialista è quella – esposta nei dettagli in The Roots of Obama’s Rage di Dinesh D’Souza – secondo la quale Obama nasconderebbe un ideologo imbevuto di teorie anticolonialiste, influenzato prima dagli scritti di Frantz Fanon e poi, durante gli anni alla Columbia University, da Edward Said. Secondo D’Souza, Obama avrebbe rivelato chiaramente questo suo orientamento nel suo primo libro Dreams from my Father (che già nel titolo originale, più ancora che nella traduzione italiana I sogni di mio padre, rivelerebbe l’adesione del giovane Obama alle idee del padre, secondo l’autore “un’importante figura del movimento indipendentista keniano”, per essere stato incarcerato dagli inglesi), celandolo poi, una volta entrato in politica, nel successivo Audacity of Hope. Un altro aspetto interessante di questa tesi è l’idea secondo cui Obama avrebbe fatto propria l’identità di afroamericano solo in modo strumentale, per tradurre la propria ideologia in termini comprensibili agli americani. Obama non sarebbe quindi “solo un altro socialista”, ma un socialista imbevuto di un’ideologia anti-occidentale (come dimostrato secondo D’Souza da episodi ‘rivelatori’, come la rimozione di un busto di Churchill alla Casa Bianca). In quest’ottica sarebbero da inquadrare anche tratti della sua politica estera come l’atteggiamento ritenuto troppo morbido verso l’Iran e i suoi progetti nucleari e la rigidità verso Israele. Questa tesi compare anche nella versione di Obama suprematista nero, per esempio negli scritti di sean Hannity, il quale parla della chiesa del reverendo Wright come di una congregazione “africano-centrica”, in cui “si adorano oggetti africani più di quanto si adori Gesù Cristo”, assimilata come orientamento politico alla Nation of Islam del reverendo Farrakhan. Secondo questa visione, Obama sarebbe un seguace delle teologie nere della liberazione, come quella proposta da James Cone, e – nelle versioni più ardite – del Black Israelism, che reinterpreta le teorie dei dispensazionalisti anglosassoni individuando nei neri l’autentico popolo eletto di cui parla la Bibbia.

Resta, infine, da rendere conto delle teorie cospirative ‘di sinistra’ su Obama. Lo stesso uomo che i militanti conservatori dipingono come un indefesso comunista sarebbe infatti, secondo molti radicali di sinistra, un fantoccio finanziato (come già la madre, che avrebbe coperto con la professione di antropologa un lavoro per la CIA) dalla Fondazione Ford e dai servizi segreti, al servizio di ‘poteri forti’ come il gruppo Bilderberg e il Council on Foreign Relations. Una visione che interpreta persino i punti più progressisti del programma della sua presidenza – come quelli relativi al sociale e all’energia – come solo “un camuffamento” del suo vero volto di Manchurian candidate, autore di un “colpo di stato postmoderno” per conto di Wall Street. Già immediatamente dopo l’elezione si parlava di un Obama sostanzialmente conservatore, “circondato da consiglieri di centro-destra”, che non rappresentava che “una faccia più gentile dell’imperialismo neoliberale”. Questa tesi è stata poi rafforzata dal fatto che le politiche del Presidente non sono state all’altezza delle aspettative suscitate dalla campagna elettorale – in particolare in politica estera, settore nel quale Obama è accusato di avere proseguito sostanzialmente le politiche di Bush – ed è divenuta una sorta di luogo comune nei siti internet della sinistra radicale, non solo negli USA ma anche nel nostro paese.

Una tesi simile è esposta da David Icke, secondo il quale i discorsi di Obama non sarebbero altro che “tecniche di controllo mentale e Programmazione Neuro-Linguistica, o PNL […] accuratamente costruite per impiantare credenze e percezioni nella mente di uno spettatore” (The Naked Emperor), creando così degli “Obama zombies”. La presidenza Obama, secondo questa interpretazione, sarebbe la continuazione dell’era Bush con altri mezzi, sotto il controllo di Zbigniew Brzezinski, la Trilateral Commission e la Fondazione Ford, e al fine di trascinare gli USA e il mondo in altre guerre, privando al tempo stesso gli Americani della loro libertà. E, in ultima analisi, di creare una dittatura globale. In Icke – principe dei teorici cospirativi degli ultimi decenni – si fondono così, idealmente, le paranoie ‘di destra’ e ‘di sinistra’, sull’Obama che vorrebbe instaurare negli USA un regime collettivista e l’Obama servo delle multinazionali.

Fin qui quanto elaborato nei primi quattro anni della presidenza Obama: una serie di tesi che, ne siamo sicuri, impallidirà di fronte a quanto i teorici della cospirazione sapranno inventare nel caso di un secondo mandato. E, anche nel caso di una presidenza Romney (un miliardario ex vescovo mormone che ha fatto il missionario in Francia e ha un padre nato in Messico), qualcosa da dire si troverà.