di Federico Donelli

La Tunisia, a detta di molti osservatori occidentali, rappresenta il risultato migliore della primavera araba scoppiata ad inizio 2011. Un dato difficilmente confutabile se comparato alla situazione che stanno vivendo altri Stati soggetti a cambi di regime più o meno pacifici (Libia, Egitto, Yemen) in cui la situazione pare ancora ben lontana da una completa normalizzazione.

La Tunisia a quasi due anni dalla caduta di Ben Alì gode della presenza di un governo, a guida del partito islamico “al-Nahda”, eletto democraticamente nell’ottobre del 2011 che ha saputo rapidamente reintrodurre il Paese nei circuiti internazionali garantendosi importanti finanziamenti – soprattutto dagli Stati Uniti (500 mln di dollari) – che hanno consentito il rilancio dell’economia e le cui linee guida sono state tratteggiate in un ben documentato Piano di Sviluppo quadriennale (2012-2016). La stabilità interna non è tuttavia casuale, infatti, nonostante il cambio di regime, l’apparato militare e di intelligence tunisino sono rimasti pressoché intatti divenendo i garanti della transizione democratica del Paese.

Dubbi tuttavia permangono per ciò che concerne la minaccia rappresentata dagli ultraconservatori salafiti tra i cui membri spiccano diversi jihadisti incarcerati dal regime di Ben Alì (con l’aiuto della CIA), che hanno però goduto nel marzo del 2011 della grazia concessa dal governo di transizione. Il principale esponente è Abu Ayad, già fondatore nel 2006 del Gruppo Combattente Tunisino, poi inglobato dalla rete di al-Qaeda del Maghreb, che ha dato vita ad Ansar al-Shari‘a fi Tunis (Sostenitori della Shari‘a in Tunisia), una organizzazione socio-religiosa salafita che gode di molta influenza su diversi partiti politici.

Riprova dell’influenza del gruppo Ansar al-Sharia si è avuta a giugno quando a seguito di una mostra d’arte giudicata “immorale” sono scoppiate violente rivolte in diverse città del Paese, obbligando l’esercito ad intervenire con la forza e ad imporre su diversi governatorati il coprifuoco. Ulteriori nubi sul movimento si sono addensate in settembre quando il Dipartimento di Stato americano ha indicato il gruppo di Abu Ayad come uno degli organizzatori dei diversi attacchi contro le ambasciate USA. In particolare è appurato che dietro l’attacco di Bengasi, costato la vita all’ambasciatore americano Chris Stevens, vi fosse il ramo libico di Ansar al-Sharia, il quale nella situazione di pseudo anarchia libica gode di maggiori libertà di movimento e di ingente quantitativo di armi – di dubbia provenienza – immagazzinate durante i mesi di rivolte contro il regime di Gheddafi. Nonostante Ansar al-Sharia tunisina abbia più volte dichiarato di rifiutare la violenza, il timore del governo di Tunisi, largamente condiviso dall’apparato di sicurezza interna, è che gruppi jihadisti libici decidano di varcare il confine innescando nuove manifestazioni che andrebbero a minare la stabilità del Paese a poche settimane dalla scadenza del termine per la stesura della nuova costituzione prevista per il 23 ottobre. La situazione dell’Assemblea Costituente è di totale stallo politico tanto che previsioni – ottimistiche – parlano di slittamento dei termini a maggio 2013; a questo si deve aggiungere che la bozza definitiva della costituzione dovrà essere sottoposta a referendum, ed è facile prevedere che costituirà terreno elemento di tensione ulteriore tra laici e islamisti. Al momento tali timori stanno andando a vantaggio proprio dei salafiti e del loro partito, Partito tunisino del Fronte riformatore (Hizb Jabhat al-Islah al-Islamiyya al-Tunisiyya) che, sfruttando il proprio ruolo di unico mediatore con le diverse anime salafite, sta ottenendo varie concessioni politiche, su tutte la possibilità di includere nella futura costituzione al Sharia.

Il governo tunisino vive dunque una situazione di costante allerta, a cui si aggiunge la consapevolezza che riuscire a contenere la minaccia del radicalismo salafita potrà servire a garantire stabilità al Paese ed al tempo stesso rilanciare la principale industria tunisina, ossia il turismo.