di Andrea Colasuonno

Il 29 novembre l’Onu ha ammesso con 138 voti a favore, 9 contrari e 41 astenuti, la Palestina a far parte della sua Assemblea Generale in qualità di Stato Osservatore. In sostanza la Palestina è diventata “Stato” da “Territorio” che era. Ci è riuscita dopo un lunghissimo e faticoso percorso che solo l’anno scorso si era risolto in un fallimento, e l’approvazione di quest’anno è stata giustamente accolta come una di quelle di portata storica.

La reazione fra l’opinione pubblica filo-israeliana è stata ovviamente di stizza e delusione, ma c’era da aspettarselo; ciò che sorprende invece è vedere la reazione non univoca dell’opinione pubblica filo-palestinese. In molti hanno accolto il voto favorevole come una liberazione indugiando sul fatto che adesso la Palestina potrà rivolgersi alle varie agenzie dell’Onu in qualità di Stato, facendo così valere le sue ragioni per mezzo del diritto internazionale; altri hanno avuto una reazione tiepida facendo notare che niente cambia effettivamente nelle condizioni dei palestinesi e molti problemi, di enorme portata, rimangono aperti; altri ancora sono rimasti del tutto indifferenti, se non contrari, ritenendo che il riconoscimento all’Onu legherà le mani a tutte le più incisive azioni di resistenza palestinese. Tutte le argomentazioni in campo si sono comunque attestate nell’ambito del razionale, della strategia, della geopolitica, della diplomazia, del diritto; e invece nella faccenda c’è un aspetto di irrazionalità che non può essere sottovalutato.

Nour Odeh, portavoce dell’Autorità Palestinese, poco prima del voto, aveva dichiarato che in caso di vittoria “non si parlerà più di Territori Occupati, ma di Stato occupato”, la differenza è sostanziale e proprio per la carica di irrazionalità che il concetto di “Stato” porta con sé. Non sono stati molti quelli che si sono soffermati a studiare tale concetto, fra questi lo storico Arnold Toynbee e il filofoso Edgar Morin.

Secondo le loro osservazioni lo Stato-nazione è un’entità complessa formata da aspetti territoriali, politici, sociali, culturali, storici, mitici, religiosi, intimamente e inestricabilmente connessi a formare un’Unità. Gli elementi che lo formano e lo tengono insieme non sono dunque solo elementi razionali, ma anche irrazionali. Nello Stato vi è un continuo scambio dal geopolitico al mitologico e dal politico al culturale e religioso. Ciò si ha perché lo Stato-nazione è una “patria”, un’entità che è allo stesso tempo paterna e materna, che contiene nel suo femminile il maschile dato dal termine “pater”. La “patria” è ciò che trasferisce ai milioni di individui che formano un popolo e non hanno nessun vincolo di consanguineità, le relazioni morbide ed amichevoli della gente appartenente al medesimo “gruppo”. L’uomo in rapporto a ciò che è esterno, estraneo, altro da sé, trova nella “patria” senso di conforto, amore e protezione tipici di una madre (la madre patria), e allo stesso tempo senso di autorità, obbedienza, competizione tipici del padre. La caratteristica del concetto di “patria” di far leva sui sentimenti, crea una vera e propria religione dello Stato-nazione in cui si trovano cerimonie (bandiere, monumenti), culto della Madrepatria, culto di leader e martiri. Il fattore mitologico dunque non è secondario in uno Stato, esso è fondativo come lo è il suolo su cui il popolo effettivamente vive. Uno Stato allora si regge su un ciclo autogenerativo in cui ciascun elemento genera ciò che lo genera e in cui gli aspetti razionali fondano e alimentano quelli irrazionali e viceversa.

Sulla base di ciò allora non è affatto indifferente che oggi la Palestina sia definibile con il concetto ricco e sfumato di “Stato” e non più con quello piatto di “Territorio”. L’elemento mitologico e irrazionale apportato con l’idea di statualità ha valenza di per sé, ha la sua stessa realizzazione come solo argomento a favore, e sarà utile ai palestinesi qualunque siano gli obiettivi futuri che essi vorranno perseguire. Non è questo il momento di essere realisti, occorre invece lasciar erompere l’entusiasmo disordinato e irrazionale che ha colto la popolazione dopo la conquista all’Onu. Di quell’entusiasmo, da un punto di vista razionale effettivamente incomprensibile, la Palestina ha bisogno, più di ogni altra cosa, per affrontare gli enormi problemi che si trova davanti. I sentimenti suscitati dall’idea di “Stato” aiuteranno tanto più un popolo che con la sua unità e identità ha sempre avuto un rapporto problematico pur riuscendo ad affermare se stesso nonostante enormi divisioni politiche interne, nonostante la diaspora che ha subito a causa delle guerre e nonostante la cieca propaganda del suo nemico che l’ha sempre definito inesistente. Nonostante.

Si potrebbe estendere ai palestinesi ciò che lo scrittore Angelo Maria Ripellino diceva di sé quando affermava di essere un “Nonostante”. Ecco, la Palestina è un popolo Nonostante, è il popolo dei Nonostante: nonostante i bantustan, nonostante le divisioni, nonostante il muro, nonostante i veti, nonostante “Piombo Fuso”, nonostante i ricatti, nonostante la corruzione, nonostante le confische, nonostante le umiliazioni, nonostante i collaborazionismi, nonostante la ragione consigliasse di disperare, nonostante tutto oggi è uno Stato, e nonostante sia solo “osservatore”, chissà cos’altro riuscirà a diventare.