di Domenico Letizia
Il sistema attuale, la società statal-capitalista consegnataci da decenni di politiche industriali, non di mercato, ma guidate da logiche di sistemazioni partitocratiche e caste clientelari, ha permesso al nostro paese uno sviluppo verso la privatizzazione dimenticando prima di liberalizzarlo.
Nelle svariate discussioni sul lavoro, si dimentica di dire che una concreta “svolta liberalizzante” avrebbe permesso all’individuo, al proletario, di liberare la propria giornata dal lavoro, dalla schiacciante alienazione che non permetteva alcun tipo di interesse personale e culturale: insomma, il tempo libero era annientato dallo svolgere sistematico della giornata lavorativa. La stessa nascita dei contratti a progetto, potrebbe leggersi, almeno teoricamente, secondo tale ottica, ovvero come strumento atto a permettere all’individuo di decidere quando lavorare, quando non farlo, rispettando orari personali e sviluppando la società verso una totale “imprenditoria personale”. L’avvento della rete internet e del lavoro al computer sembrava incanalarsi verso tale prospettiva, quella di liberare (e liberalizzare) le nostre esistenze.
Tale ragionamento, se non analizzato in ottica post-moderna, è lo stesso che caratterizzava le formulazioni teoriche dell’Autonomia Operaria nei programmi formulati da Toni Negri con l’abolizione del lavoro o da Franco Berardi Bifo, sviluppando una critica radicale del lavoro, poiché il lavoro sussiste per accumulare tempo libero dal lavoro stesso.
Se vogliamo analizzare, senza pregiudizi, cosa rappresenta il fenomeno “della vera liberalizzazione”, antropologicamente e sociologicamente, non possiamo non affermare che tale fenomeno avrebbe dovuto liberare l’uomo e il suo tempo libero concretizzando quel diritto all’ozio che settori della sinistra extra-parlamentare, in passato, rivendicavano. Invece, oggi, nonostante nessuna liberalizzazione concreta, visiva, lo statalismo continua a rafforzarsi, grazie proprio alle privatizzazioni, realizzate senza seguire nessuna logica di mercato, ma attraverso la persuasione del potere e della forza coercitiva, distruggendo e massacrando l’ambiente: prova ne sia la presenza di svariate mega-industrie che vivono di socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti.
Il fenomeno della liberalizzazione, nonostante i presupposti favorevoli, dovuti anche al continuo sviluppo dell’automazione e della tecnologia è visibilmente non realizzato. Resta invece prepotentemente la forza dello stato e del suo apparato economico che continua a crescere, con la complicità della sinistra riformista, anche nelle vertenze sindacali. La lotta dei sindacati moderati si concentra solo sul mantenimento del posto fisso, anche se lo stipendio è misero e degradante per la dignità umana, senza praticare nessuna “rivolta dell’esistente”, bloccando l’autogestione operaria, condannando le azioni di sciopero totale e di occupazione aziendale, e dimostrandosi nient’altro che un organo dell’apparato del sistema capitalista, guidato e gestito dall’alta finanza e dalle istituzioni statali. Una seria analisi potrebbe, farci concludere, che il liberismo è di sinistra in quanto vuole liberare l’individuo dal lavoro e dalla sottomissione padronale e che una società realmente liberalizzata renderebbe tutti imprenditori, liberi di scegliere e di lavorare, rafforzando l’individuo. Viceversa, l’attuale società non solo agisce coercitivamente e procede attraverso fenomeni di massificazione e alienazione, ma lavora anche per rendere tutti schiavi del sistema vigente annientando ogni dissenso.