di Antonio Mastino

Le novità più interessanti di questi ultimi mesi nel panorama geopolitico mondiale arrivano dal Maghreb e sono una diretta conseguenza di quella che è stata definita da quasi tutti i cronisti come Primavera Araba. Infatti, nella parte settentrionale del Mali, lo scorso 6 aprile si è dichiarato indipendente lo Stato Indipendente dell’Azawad, che comprende la parte maliana del più grande territorio dell’Azawad, il quale nella sua interezza lambisce i confini di Algeria, Benin, Burkina Faso, Guinea, Niger, Nigeria e il Nord del Mali. Quest’ultimo, indipendente dal 1960, si è spesso dovuto interfacciare con le rivolte delle popolazioni di quell’area, per la stragrande maggioranza Tuareg, quindi berberi. Già tre anni dopo l’indipendenza ci fu una prima rivolta, poi ripetutasi più recentemente nel ’90-’95 e nel 2006-2008.

In quest’ultima occasione, apparentemente coronata da successo, vi sono stati due elementi fondamentali di rottura rispetto al passato. Il primo è rappresentato dai disordini politici nella capitale Bamako che hanno portato a un putsch militare da parte dei ranghi inferiori dell’esercito; il secondo, più importante e anche causa indiretta del primo, è la dotazione in termini di equipaggiamento che in questo frangente hanno potuto disporre i miliziani della rivolta. Per cui, sebbene nell’ultima fase della rivolta il putsch del capitano Sanogo (che ha deposto il presidente Touré con l’accusa di non supportare adeguatamente i militari nel contenimento della rivolta) sia stato la fondamentale causa dello sbando delle truppe regolari maliane, è indubbio che ciò non sarebbe mai avvenuto se i guerriglieri non avessero disposto di un grosso quantitativo di armi libiche. I Tuareg, infatti, hanno sempre avuto come sostenitore storico Muhammar Gheddafi e, durante la Rivoluzione Libica, essi hanno combattuto a fianco del leader di Tripoli, ottenendo da questi le armi necessarie per poi – una volta caduto il Colonnello – dedicarsi alla propria situazione interna.

Nonostante i Tuareg rivendichino la loro natura secolare e nazionalista (la loro società è storicamente matriarcale, quindi poco avvezza alle estremizzazioni della Shari’a), partecipano alla rivolta anche dei gruppi di estremisti islamici, come i salafiti di Ansar al-Din, guidati dall’ex console maliano in Arabia Saudita Iyad Ag Ghaly, il filo-qaidista Movimento per l’Unicità della Jihad in Africa Occidentale (Mujao) e le milizie di Al-Qaida in Maghreb (AQIM), mentre nella città di Gao sono segnalati anche dei miliziani provenienti da Boko Haram, il gruppo ultra-fondamentalista islamico operante in Nigeria.

Ciò che non è molto chiaro e desta preoccupazione agli occhi della Comunità Internazionale è la natura di questa alleanza tra i Tuareg e le altre milizie. Infatti, qualora si trattasse di un’alleanza strategica, o per meglio dire “a lungo termine”, è presumibile che l’area possa diventare luogo di rifugio e addestramento per l’intero network jihadista di Al-Qaida, come è già successo, per esempio, in Afghanistan e in Yemen. Le ultime dichiarazioni di MNLA e Ansar al-Din andrebbero in tal senso. Nel caso, invece, di un’alleanza tattica, ovvero una tregua economica utile a sfruttare l’area (che è il crocevia dei traffici illeciti di droga, armi e carburante), l’evidente discrasia tra le componenti ideologiche dei vari gruppi fondamentalisti porterà prima o poi a una “resa dei conti”. Ciò soprattutto perché l’ideologia jihadista della rivoluzione islamica si sta già esprimendo in prime persecuzioni nei confronti delle comunità cristiane e nella distruzione di luoghi sacri dell’islam più sincretico, come la tomba di un santo a Timbuctù. Un’intesa di tipo tattico comunque non impedirebbe all’Azawad, nel breve-medio periodo, di diventare una roccaforte della jihad islamica.

Il governo del Mali, al cui vertice sta ora l’ex speaker del parlamento, Dioncounda Traorè, come presidente ad interim, presumibilmente non è in grado di affrontare da solo le milizie del Nord con il proprio esercito regolare, anche a causa dell’instabilità interna dovuta al golpe. Ciò ha portato l’ECOWAS (Economic Community Of West African States) a programmare l’invio di 3000 soldati per aiutare Bamako a riprendere possesso del Nord, preoccupata dalle ripercussioni che in tutto il Sahel può provocare il successo della rivolta.

 

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