di Fabio Massimo Nicosia
Il “pizzino” consegnato da Enrico Letta a Monti, con il quale il PD chiedeva al neo-senatore Presidente Tecnico del Consiglio di (con)trattare la questione dei “vice”(ministri), e immortalato da fotografi e telecamere, nonostante la sua destinazione segreta o riservata, suggerisce qualche riflessione sugli arcana imperii e sulla criptocrazia nell’epoca delle tecnologie.
Fino a poco tempo fa, pur in vigenza di “Stato di diritto”, un messaggio del genere sarebbe rimasto segreto e legibus solutus, in quanto collocato dietro o al di sopra del giuridicamente rilevante, sia nell’ambito del diritto pubblico, sia nell’ambito del diritto privato.
Una prima svolta nel considerare il tema è stata suggerita e avviata dalle intercettazioni telefoniche e ambientali: ad esempio, fu un’intercettazione ambientale al bar a dirci che i colonnelli di AN non sopportavano più Fini, qualche anno fa.
A fronte di questo incremento di trasparenza, i politici invocano la “privacy”, ma l’argomento non coglie il bersaglio, dato che il politico in servizio permanente effettivo non ha una privacy da far valere nei confronti dei cittadini, che hanno tutto il diritto, a mio modo di vedere, di conoscere che cosa si dicono i politici in “privato”; e i giornali fanno bene a pubblicare ciò che vengono a sapere al riguardo.
Un tempo, la dottrina giuridica era molto timida nell’affrontare la questione. Persino atti amministrativi veri e propri (i cosiddetti atti di “alta amministrazione”) venivano sottratti al sindacato giudiziario, e trattati da atti “politici”, in quanto “liberi nel fine”.
Ma si trattava di un vulnus inferto allo Stato di diritto, dato che gli unici atti liberi nel fine sono gli atti di diritto privato dei privati, non gli atti e gli accordi tra i politici.
Prendiamo l’esempio delle promesse elettorali. Il sottoscritto, qualche anno fa, propose un’iniziativa giudiziaria nei confronti del primo governo Prodi, per non aver mantenuto l’impegno a non aumentare la tassazione, così come vergato nel programma ufficiale dell’Ulivo, introducendo la cosiddetta “tassa per l’Europa”. Ma il giudice respinse il ricorso, decretando che i cittadini, di fronte alla politica, non sono titolari né di diritti soggettivi, né di interessi legittimi. Insomma, il politico può parlare a vanvera senza pagare dazio, rischiando solo sanzioni politiche e non anche giuridiche. E poi venne il famoso impegno innanzi agli italiani di Berlusconi sulla scrivania di ciliegio nel salotto di Bruno Vespa. E anche a tale proposito mi risulta che vi siano stati dei contenziosi giudiziari, anche se non so che esito abbiano avuto.
Tuttavia quell’impegno era impostato in modo sufficientemente furbesco, da poter far dire, in tutti i casi, che era stato adempiuto, come ha riconosciuto una ricerca edita dal Mulino.
Ci sono poi altri esempi che si possono portare, di come i patti politici, da segreti o riservati, comincino a far capolino, almeno per chi ne è informato, nella pubblica discussione.
Alludiamo a due veri e propri contratti sottoscritti innanzi a notaio da Berlusconi tanto con Bossi, quanto con Pannella. La rilevanza giuridica di quest’ultimo, in particolare, mi pare dimostrata dal fatto che sia in corso un arbitrato tra le parti.
Per concludere, tornando da dove siamo partiti, si può immaginare che un giorno, i cittadini, di fronte a impegni mancati dai politici possano normalmente adire le sedi giudiziarie per far valere la violazione dei comportamenti contrastanti con il “chiacchiericcio politico”, che, giuridicamente, assurgerebbero allo status di promesse, inducendo i chiacchieroni a una maggior prudenza.
Ad esempio, poniamo che il PD abbia sostenuto che i vice-ministri dovessero essere tutti tecnici, e poi abbia contraddetto con i fatti tale declaratoria, si potrebbe ipotizzare una class-action volta a rimuovere l’atto contrastante con le promesse.
E immaginiamoci che cosa succederebbe se questo meccanismo prendesse piede e diventasse un nuovo istituto di uno Stato di diritto più trasparente!
In fondo, “Stato di diritto” significa proprio questo, che tutti gli atti del pubblico potere devono poter essere assoggettati a un giudizio di legittimità, nessuno escluso: nessuno, quindi, ivi compresa una telefonata a La Vitola o chi per lui. Il principio della privacy vale infatti per tutelare i cittadini nei confronti del potere, non viceversa, dove vige il principio opposto della legalità e della trasparenza, strumentale alla verifica di legalità.
Tutto ciò può sembrare utopistico, ma avrebbe oltretutto il vantaggio di “depenalizzare” la materia, per riportarlo a un alveo più naturale e di minor tensione, come la giustizia civile o amministrativa.