di Chiara Moroni
La sinistra italiana, quella rappresentata da D’Alema, Bersani & C., sembra avere memoria corta ma sopratutto un’incapacità endemica ad imparare da errori strategici già commessi in passato.
La strategia politica e quindi comunicativa di tale sinistra è quella di demonizzare l’avversario politico in un crescendo di accuse e colpi più o meno legittimi per eliminarlo dalla scena politica.
Lo ha fatto con una ostinazione diabolica nei vent’anni di Berlusconi, trascinando l’Italia in un continuo e radicale scontro tra sostenitori e denigratori del Cavaliere, tentando di delegittimarlo politicamente e non, ottenendo solo un radicalizzarsi delle simpatie e del consenso verso colui che avrebbero voluto far soccombere sotto il peso della riprovazione dei cittadini. Ma la riprovazione popolare non c’è stata e la sinistra non ha potuto contare sul sostegno indignato delle masse.
Il perseverare diabolico della sinistra, che odora già di sconfitta, sta nell’aver avviato una simile campagna denigratoria nei confronti di Matteo Renzi, che pur essendo una battaglia tutta interna al Pd, assume connotati nazionali nel momento in cui viene combattuta con l’opposizione ideologica all’azione di Governo.
Al netto delle evidenti difficoltà a concretizzare qualcuna delle sue battaglie riformatrici, Matteo Renzi ha già avviato un mutamento nelle sue strategie comunicative che da giovane vincente rottamatore suggeriscono una percezione di lui più moderata e vittimistica: non mi fanno lavorare, mi osteggiano, mi impediscono di aiutare questo Paese. E gli Italiani si stringono intorno al perseguitato, che rappresenta – ancora – l’uomo della Provvidenza.
L’archetipo dell’eroe che contro tutto e tutti combatte per il raggiungimento di un obiettivo – che nel caso della politica è rappresentato dal bene comune e dal progresso – è una delle più efficaci figure narrative, universale e sempre valida. Lo ha incarnato a suo tempo Silvio Berlusconi, con gli strumenti e le strategie comunicative e narrative a sua disposizione, e lo incarna oggi Matteo Renzi che ha a disposizione strumenti ben più diretti e dialogici, quindi più efficaci.
Non resta che chiedersi come sia possibile che D’Alema e i suoi omologhi alla Civati (vedi foto in alto) non abbiano compreso il fallimento di una strategia politica che attacca, deride e osteggia un leader che gode di quel consenso popolare che ha oggi Renzi – e di cui godeva Berlusconi dieci anni fa – pur avendo la storia dimostrato che gli Italiani trasformano il “perseguitato” in una vittima e lo sostengono con più convinzione.
* Docente di Comunicazione politica nell’Università di Viterbo
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