di Alia K. Nardini
La doppietta di Rick Santorum in Alabama e Mississippi sembra aver gettato nel caos le primarie statunitensi. Lo si capisce leggendo i giudizi dei commentatori politici, mai così discordi: i giornalisti sono combattuti tra l’attribuire scarso valore al risultato, che potrebbe costituire solo un ulteriore rallentamento nella corsa verso la sempre più inevitabile nomination di Mitt Romney; o se celebrare la novità, in attesa di un eventuale ritiro di Gingrich e della relativa crescita dei consensi per Santorum, che potrebbe decretare l’inizio della fine per il Moderato Romney e la vittoria a sorpresa della nomination del Senatore della Pennsylvania. Nelle dichiarazioni ufficiali intanto, gli sfidanti si contraddicono a vicenda: “Romney è in testa ancora per poco, otterremo la nomination prima della convention”, dichiara Rick Santorum. “Santorum oramai è disperato”, risponde Romney, “solo un miracolo lo può salvare”.
In realtà, sarebbe importante attenersi ai fatti. Prima di tutto, è ovvio che se Newt Gingrich non fosse in gara, Santorum potrebbe competere direttamente con Romney e forse consolidare una popolarità che magari lo porterebbe in testa. Però è anche vero che Gingrich non vuole saperne di ritirarsi, ed è questo il dato con cui è necessario confrontarsi. La gente vota per Gingrich, anche se forse non come per i suoi rivali; in ogni caso, l’ex speaker alla Camera può contare su una discreta cerchia di fedelissimi, e questo gli basta per continuare a cavalcare l’onda. Tutto ciò toglie voti a Santorum, certo; ma, in misura minore, anche agli altri candidati. Va altresì evidenziato come l’odierna situazione di aleatorietà nel Partito Repubblicano non dipende solo dalla presenza di Gingrich, bensì anche dalla personalità spiccata dei candidati, dal layout atipico del calendario elettorale e da una campagna feroce e senza esclusione di colpi, per citare alcune considerazioni in ordine sparso.
Secondo punto: il rinnovato consenso di cui gode Rick Santorum. Certo, l’ex Senatore della Pennsylvania è cresciuto molto negli ultimi mesi, umanamente e politicamente. Ha imparato a lasciare da parte i giudizi taglienti sui temi etici, per concentrarsi sull’economia e rafforzare l’appoggio di cui gode tra i blue collar voters, che costituisce anche il suo reale vantaggio su Romney. Tuttavia, se pur vero è che l’ex Governatore del Massachusetts non convince l’elettorato più conservatore che si raccoglie intorno a Santorum, è altrettanto vero che quest’ultimo non sa far leva sui moderati, né sui giovani (che votano Ron Paul, contro ogni logica considerazione di electability), i cattolici e le donne. Tutti questi sono gruppi che i Repubblicani hanno disperatamente bisogno di conquistare – non solo a destra, ma soprattutto tra gli indipendenti –, se vogliono avere una chance contro Barack Obama nelle elezioni di novembre. A prescindere dalle statistiche altalenanti, scegliere Santorum come candidato alla Presidenza equivarrebbe a servire a Obama la rielezione su un piatto d’argento. Se anche gli elettori ignorano (o scelgono di ignorare) questo fatto, i vertici del partito ne sono ben consapevoli. Per questo motivo, la candidatura di Santorum alla nomination appare ancora oggi improponibile.
Terzo: la solidità di Mitt Romney, contro tutto e contro tutti. In Alabama e Mississippi, l’ex Governatore del Massachusetts è arrivato terzo, e un terzo posto (su quattro) non è mai un buon piazzamento. Tuttavia, se Santorum in Alabama lo ha staccato di 5 punti, la distanza tra i due in Mississippi è di soli 2 punti: non certo quella che si definirebbe una rovinosa sconfitta. Peraltro, in questi due stati si è votato con un sistema proporzionale: il numero dei delegati in palio, rispettivamente 50 e 40, è stato ripartito equamente tra i primi tre classificati, dunque Santorum in totale ha ottenuto 32 rappresentanti, Gingrich 24 e Romney 23 (25 secondo il New York Times) – un bottino di tutto rispetto per l’ex Governatore del Massachusetts. Romney conquista anche 17-18 delegati tra Hawaii e American Samoa, mentre Santorum soltanto 3, e gli altri candidati nessuno. Ovvio, si tratta di vittorie di misura: ma un’avanzata lenta non è necessariamente sinonimo di sconfitta. Nel conteggio totale, ad oggi Romney ha 495 delegati. Sono più di quelli di tutti gli altri tre sfidanti insieme: conti alla mano, è difficile affermare che Romney non stia ottenendo risultati apprezzabili.
A prescindere da queste considerazioni, è comunque affascinante seguire l’ascesa di Rick Santorum. È un giovane carismatico, intelligente, che sa certamente suscitare entusiasmo nel partito. Ma Romney dispone di una macchina elettorale imponente e ben oliata, che lo ha mantenuto a galla fino ad ora e non avrà problemi a sospingerlo lentamente in avanti anche attraverso le restanti date del calendario elettorale. E poi, da qui alla convention di Tampa, in agosto, c’è ancora molta strada. Si guarda avanti, a due appuntamenti davvero importanti: il Texas (29 maggio) e la California (5 giugno), che allocano rispettivamente 155 e 172 delegati e potrebbero rivelarsi decisivi per la nomination. Per i festeggiamenti, il Grand Old Party dovrà aspettare ancora.
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