di Angelica Stramazzi

Con un piccolo sforzo, si potrebbe provare ad immaginare che le tanto vituperate primarie del centrodestra si terranno comunque il prossimo 16 dicembre; e che Silvio Berlusconi, mosso improvvisamente dalla necessità di rinnovare la sua creatura, abbia concesso finalmente l’opportunità ai vari candidati in lizza, di sfidarsi apertamente per contendersi la guida del Pdl e di quel popolo che, a torto o a ragione, viene definito moderato. Mettiamo quindi da parte gli stop and go del Cavaliere, le sue titubanze sulla validità (e bontà) delle primarie quale meccanismo migliore per selezionare la classe dirigente e poniamo che egli abbia, fin da principio e senza mai tentennare, voluto accordare una fiducia illimitata – ma soprattutto sincera – al segretario Angelino Alfano, colui che, nei giorni scorsi, tra annunci di (ri)discese in campo e proclami del tipo “fate come volete, io mi tiro fuori”, è stato dipinto come l’uomo solo al comando di una sorta di armata Brancaleone: un’accozzaglia di posizioni, tutte divergenti e distanti tra loro, va da sé, oltre che un calderone di idee (poche e abbastanza confuse), personalismi (molti e piuttosto evidenti) e spiriti di vendetta (la giusta dose per finire di terremotare un partito in preda ad isterismi e crisi di nervi).

Nello scenario delineato, e tenendo ben ferma l’ipotesi che le primarie si terranno comunque il 16 dicembre, non verrebbe data per scontata una vittoria dell’ex Guardasigilli: non tanto perché in pochi si recherebbero a votare (e le ragioni di un eventuale astensionismo sarebbero più che comprensibili, oltre che non deprecabili), quanto piuttosto perché la persona di Alfano appare assai troppo compromessa con quelle logiche bizzarre e schizofreniche che hanno reso il Popolo della Libertà una creatura senza testa, amorfa e priva di originalità. Nell’arco temporale immediatamente successivo alla sua nomina alla segreteria del partito, Alfano ha dovuto – e non poco – sottostare alle volontà (e agli sbalzi d’umore) di Silvio Berlusconi, piegando le pulsioni innovative e di ricambio interno ai desiderata del capo. Nonostante ciò, l’ex Guardasigilli ha compiuto uno sforzo immane nel cercare di tenere unite le mille anime (e tradizioni politiche) confluite nel Pdl, cercando di portare a compimento mediazioni sofferte e tentando di trovare una sintesi tra posizioni spesso inconciliabili e del tutto differenti tra loro. Ma il tentativo di mostrarsi come una personalità autonoma ed indipendente rispetto alle volontà del Cavaliere non è bastato; e Alfano sconta oggi il fatto di non essere stato un uomo di polso, un politico autorevole ed intransigente, almeno quando si è trattato di tener dritta la barra sulla necessità di selezionare il merito partendo da chi, ogni giorno, si spende con passione e competenza nelle amministrazioni locali, nei piccoli centri e in tutti quei comuni che restano nel dimenticatoio, per tornare alla ribalta quando si tratta di operare tagli lineari per ridurre chissà quali sprechi. In buona sostanza, la candidatura di Alfano riflette all’esterno il desiderio dei maggiorenti del Pdl di difendere le loro guarentigie e i loro privilegi, di mantenere inalterato lo status quo, pur proclamando di voler stravolgere tutto affinché nulla cambi: dietro la sua persona ( e la sua candidatura), si scorge quell’apparato che, agli occhi di molti elettori del centrodestra, ha provocato non pochi danni al partito. E ogni buon proposito di Alfano viene puntualmente messo in ombra dai proclami d’altri tempi di La Russa o di Gasparri, per non parlare poi di quelli pronunciati da chi, pur di salvare la propria rendita di posizione, si affretta ad incensarlo senza nutrire nei suoi confronti un minimo di stima.

Ecco perché non ci si dovrebbe stupire poi più di tanto se, in quel famigerato 16 dicembre, molti elettori e simpatizzanti del centrodestra scegliessero di premiare la passione e la militanza politica di Giorgia Meloni o la competenza amministrativa del giovane sindaco di Pavia: tutte le volte (poche) in cui a decidere è il popolo sovrano, le certezze dei partiti sono assai scarse, o comunque destinate ad esser smentite e riviste. Ma, come si precisava all’inizio, in questo caso si è trattato solamente di una piccola fuga dalla realtà, grazie all’aiuto dell’immaginazione, unitamente al desiderio di pensare che anche il centrodestra, come il centrosinistra, possa – meglio tardi che mai – essere in grado di misurarsi con il consenso e la volontà popolare. Senza temere o aver paura di nulla, dal momento che una democrazia è davvero tale se riesce a rinnovare sé stessa, le sue logiche e la sua capacità di rispondere alle sfide della contemporaneità.