di Giuseppe De Lorenzo

imagesCon il voto al referendum per la riunificazione della Crimea alla Russia, gli equilibri geopolitici mondiali sembrano destinati a mutare. Il presidente della Repubblica autonoma, Serghiei Aksionov, infatti, ha dichiarato, subito dopo i risultati ufficiali, la volontà di chiedere immediatamente a Putin di ratificare l’annessione della Crimea alla Russia. E mentre Obama considera “illegale” ed “illegittima” la consultazione e, dunque, si dichiara pronto a definire sin da subito sanzioni economiche e politiche nei confronti di Putin, anche l’Europa si accoda al treno dei difensori dell’unità ucraina. Tutti i presidenti e cancellieri dei paesi dell’Unione sono concordi nel condannare le operazioni militari russe in territorio ucraino. L’unico politico europeo di rilievo ad essere stato premier che, potenzialmente, avrebbe potuto frenare le opposizioni contro le azioni russe, Berlusconi, è fuori campo, dunque la linea del pugno di ferro verso Putin non ha riscontrato ostacoli. Niente di strano, probabilmente. La Guerra Fredda è finita, ma gli equilibri mondiali sono sempre traballanti e qualsiasi modifica genera – necessariamente – l’opposizione delle altre “potenze”.

La situazione creatasi in Ucraina genera però qualche difficoltà d’interpretazione dei due movimenti che si sono succeduti in alcune settimane: quello filo-europeista di piazza Majdan a Kiev e quello filo-russo in Crimea. Il referendum di Sebastiopoli, infatti, è espressione del diritto di autodeterminazione di un popolo o la conseguenza di una prova di forza della Russia di Putin? È un movimento nazionalista, come lo è stato quello che ha portato Kiev a rompere i legami con Mosca e a cercare sponda in Europa?

Mentre non stupiscono molto le reazioni americane e delle istituzioni europee, un appunto sembra necessario fare sulle posizioni assunte dai movimenti europei nazionalisti e di destra. Infatti, la rottura delle “classiche” contrapposizioni della Guerra Fredda a seguito della caduta dell’Urss e della sua successiva trasformazione, l’evoluzione del progetto europeo e le diverse condizioni storiche generali sembrano aver tolto chiavi di lettura delle crisi geopolitiche mondiali alle destre europee. Come porsi sul referendum in Crimea? E come leggere le rivolte filo-europeiste di Kiev? Autodeterminazione o colpo di stato?

La richiesta dei manifestanti di piazza Majdan sembra in totale sintonia con lo spirito europeista che i movimenti di destra hanno sviluppato negli anni successivi alla conclusione del secondo conflitto mondiale, nell’ottica di una Europa forte che si contrapponesse da un lato all’egemonia economica americana, dall’altro al rischio di una deriva comunista sovietica. Infatti, quanto accade oggi nella penisola di Crimea, regalata nel 1954 da Chruščëv, è stato avvicinato all’invasione dei carri armati sovietici a Budapest. Se lo schema interpretativo fosse rimasto lo stesso, dunque, la posizione dei partiti di destra dovrebbe collocarsi in un appoggio incondizionato al nuovo corso ucraino e in una condanna alle operazioni militari russe in Crimea.

Gli scenari però, dicevamo, sono cambiati. Putin non è Stalin e la Russia non è più l’Urss. Non esiste dunque più l’opposizione squisitamente ideologica delle destre europee alla potenza russa. Non solo: anche il rapporto con l’Europa si è modificato. Se fino a qualche anno fa la ricerca di un “terzo polo” geo-politicamente influente, che potesse fare da contraltare alle vecchie e nuove potenze emergenti, era un punto di coesione di questi movimenti, l’Europa che si è venuta a delineare oggi è, invece, un “nemico” da combattere. La trasposizione elettorale per le future consultazioni europee di questa posizione sono le liste euroscettiche e dichiaratamente contro la moneta unica, capeggiate dalla destra francese di Marine Le Pen. Il Front National, infatti, ha fatto della battaglia all’Euro e all’Europa “dei tecnocrati” il suo cavallo di battaglia a livello comunitario ed ha raccolto attorno ad essa numerosi partiti più o meno assimilabili in tutta Europa: sono infatti entrati nell’“Alleanza europea per la libertà” l’Fpo austriaco di Heinz-Christian Strache, i separatisti fiamminghi in Belgio del Vlaams Belang, l’Alternativa per la Germania, i Democratici Svedesi, i lituani di Ordine e Giustizia e in Italia la Lega Nord. Non tutti propriamente “di destra”, ma è evidente come sia proprio il partito della Le Pen ad essere il centro gravitazionale di questa costellazione di partiti, cui occorre aggiungere altre formazioni non in coalizione, ideologicamente più vicine alla base culturale del Front National.

Sulla questione ucraina, proprio la leader del Front National, la quale ha sempre espresso gradimento e amicizia per Putin, ha dichiarato che la “Crimea non è come il resto del Paese, è strettamente legata alla Russia”. Per Marine Le Pen, infatti, è necessario tenere conto della storia della Crimea e non ha lesinato critiche alla gestione Ue della crisi ucraina. “Bisognerebbe avere alcune remore sul nuovo governo” – ha affermato – “perché non è stato eletto”, sottolineando inoltre come l’Ucraina dovrebbe “mantenere la sua sovranità, ma permettere anche alle sue regioni di avere notevole autonomia”. Lo stesso Putin ha cercato sponde in questi movimenti, invitando come osservatori europei per il referendum del 16 marzo proprio alcuni rappresentati del Front National e dell’FPO austriaco. Per fare un esempio italiano, recentemente Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale, ha reso nota la posizione della destra italiana parlamentare sul merito, ritenendo necessario “prendere in considerazione la voce della popolazione della Crimea”.

La posizione di Marine Le Pen è dunque utilizzabile come esempio del sentimento che, più o meno omogeneamente, colpisce oggi i movimenti di destra dell’Unione europea. L’opposizione all’”Europa-delle-banche” e alle sue politiche economiche e di politica estera sembra essersi tradotto in una visione scettica – se non proprio di opposizione – nei confronti delle rivolte fio-europeiste e nazionaliste di Kiev e in un appoggio alla volontà di autodeterminazione della Crimea e alla sua richiesta di ricongiungersi alla “Madre Russia”.

Un passaggio non indifferente, chi indica probabilmente la profonda metamorfosi politico-ideologica che ha investito le destre europee (compresa quella italiana) negli ultimi due decenni.

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