di Chiara Moroni
Viviamo in uno spazio pubblico ipercomunicativo entro cui si muovono anche la politica e l’azione di governo. In questo spazio il potere performativo delle parole e la capacità degli scambi comuni-cativi di costruire la percezione del mondo, divengono strumenti e risorse potenti, molto più struttu-rabili e condizionabili di quanto non lo sia la realtà stessa.
È noto che agiamo in base alle percezioni che abbiamo di noi stessi, delle nostre relazioni e dell’ambiente che ci circonda. In un contesto pubblico così connotato, la percezione che ne hanno i cittadini e le conseguenti azioni e reazioni divengono particolarmente fluide e malleabili attraverso gli atteggiamenti discorsivi e le posizioni linguistiche che alcuni protagonisti mettono in campo.
In vent’anni di protagonismo politico, Berlusconi ha dimostrato, anche se in modo progressivamen-te decrescente ma sempre relativamente vincente, che dal punto di vista elettorale e politico affer-mare e dire di fare è più utile e compensativo del fare stesso.
Tale situazione facilita, quindi, quegli uomini e quelle forze politiche che sono capaci di trasmettere un messaggio tale da contribuire alla costruzione di uno spazio, e quindi di un’opinione pubblica, favorevole, il consenso così ottenuto prescinde in modo radicale dal contenuto delle proposte politi-che messe in campo e dalla valutazione razionale dei relativi effetti.
Lo spazio pubblico italiano, saturato da un forte sentimento di antipolitica, da una generale sfiducia nel sistema e in generale nel futuro, si mostra positivamente reattivo solo se sollecitato da un atteg-giamento assertivo e costruttivo, che trascura i provvedimenti e i risultati nel concreto.
Nella situazione tanto complessa e estremamente critica nella quale ci troviamo, le persone hanno la percezione che sia importante “fare qualcosa”, qualunque cosa, e che al contempo sia inutile e d’ostacolo approfondire e analizzare nel merito cosa si propone di fare e come lo si intende fare.
Tutto questo è stato dimostrato, in questi giorni, in modo chiaro e radicale da Matteo Renzi, il quale ha saputo replicare alla strategia oppositiva e sostanzialmente distruttiva alla Grillo, un atteggia-mento e una strutturazione discorsiva che è, appunto, eminentemente assertiva. Tutta la strategia comunicativa messa in campo da Renzi è essenzialmente rivolta a dimostrare che si stanno pren-dendo decisioni e che a queste decisioni seguono effetti e cambiamenti.
Egli stesso rinuncia – soprattutto nei tempi brevi, sincopati e sintetici dettati dai media – a difendere il merito delle scelte che sta assumendo come capo del Governo; al contrario tutto il suo impegno è rivolto a sottolineare che sta facendo, strutturando un’immagine e una percezione di sé e della sua azione politica fondata sull’item del cambiamento a tutti i costi e della relativa fermezza nel condur-re tale cambiamento.
Quando di fronte alle critiche al suo operato, Renzi contrappone l’immagine dell’intransigente co-struttore del cambiamento e non entra nel merito di tali critiche, sta fornendo agli italiani e agli elet-tori una struttura discorsiva performativa: costruisce la percezione del cambiamento esclusivamente asserendo che sta agendo in quella direzione.
Siamo ormai nell’era della meta-politica, avviata dalle capacità comunicative e persuasorie di Ber-lusconi più di vent’anni fa, e portata a pieno compimento dalle capacità assertive di Renzi: la co-municazione è passata dall’essere una risorsa strategica per la politica al costituire la sostanza fon-dante dell’azione politica.
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