di Leonardo Raito*

images (1)In queste settimane diversi politici e commentatori stanno parlando, in relazione alla personalizzazione del voto referendario sulla riforma costituzionale, di un azzardo di Renzi. Non avrebbe senso, secondo gli stessi, mettere sul piatto la sopravvivenza del governo perché le riforme sono una cosa più ampia che non interessa solo l’esecutivo e il consenso del presidente del consiglio. Io trovo, invece, che la scelta del premier sia stata una scelta di chiarezza e coerente con il mandato ricevuto dal Presidente della Repubblica Napolitano al momento dell’insediamento. Proprio dalle parole del presidente emerito sarebbe opportuno ripartire, perché la politica e i commentatori hanno spesso la memoria corta: o non ricordano, o fingono di non ricordare, forse perché preferiscono legislature che si trascinano stanche, senza sussulti, senza problemi. Il passaggio della seconda elezione di Napolitano e il suo discorso di insediamento, pronunciato nell’aprile 2013 e seguito da un imbarazzato (e imbarazzante, per certi versi) applauso dei parlamentari oggetto degli strali del presidente, pare emblematico sullo scopo della legislatura:

“[…] l’insoddisfazione e la protesta verso la politica, i partiti, il Parlamento, sono state con facilità (ma anche con molta leggerezza) alimentate e ingigantite da campagne di opinione demolitorie, da rappresentazioni unilaterali e indiscriminate in senso distruttivo del mondo dei politici, delle organizzazioni e delle istituzioni in cui essi si muovono. Attenzione : quest’ultimo richiamo che ho sentito di dover esprimere non induca ad alcuna autoindulgenza, non dico solo i corresponsabili del diffondersi della corruzione nelle diverse sfere della politica e dell’amministrazione, ma nemmeno i responsabili di tanti nulla di fatto nel campo delle riforme. Imperdonabile resta la mancata riforma della legge elettorale del 2005.”

Secondo Napolitano, la politica doveva impegnarsi per riacquisire la credibilità perduta, e la strada maestra per questo recupero non poteva stare che nella capacità di riformare e di innovare le istituzioni, una sfida già in ritardo, non più rinviabile. Per provarci, dopo elezioni politiche che avevano prodotto dei non vincitori, ingessando le prospettive d’azione di governo da parte di qualsiasi maggioranza parlamentare si fosse riusciti a costruire, il presidente si era giocato la carta del governo di larghe intese presieduto da un prudentissimo Enrico Letta, un esecutivo in parte in continuità con quello tecnico presieduto da Monti e che aveva retto una fase di autentica emergenza nazionale. L’incapacità di Letta di spingere sulla strada delle riforme, aveva convinto allora Napolitano ad affidare l’incarico di presidente del consiglio al segretario del Pd. Il governo Renzi è nato quindi con l’obbligo di riformare, e senza questa mission svuoterebbe di senso il proprio mandato. La riforma della legge elettorale veniva considerata, già nel 2013, la priorità assoluta. Le regole del gioco devono essere cambiate sia per venire incontro a una sentenza di incostituzionalità del porcellum, sia per garantire governabilità a un paese troppo spesso paralizzato da interessi minoritari mascherati da rappresentanza,

Il presidente del consiglio Renzi personalizza il referendum sulla riforma costituzionale come un referendum sull’azione di governo e non è un azzardo. Giusto è che i cittadini possano esprimersi sul modo in cui l’esecutivo ha inteso affrontare quelle che venivano considerate le priorità per la politica nazionale. E se dovesse prevalere il No, è giusto che Renzi si dimetta e lasci agli elettori la possibilità di scegliere. Se anche fosse il baratro, sarebbe comunque responsabilità del popolo sovrano.

* Università di Padova

 

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