di Alessandro Campi

imagesLe tensioni che in queste ore stanno scuotendo il partito di Vendola sono indicative delle difficoltà nelle qualeisi trovano attualmente tutti gli avversari o contendenti o alleati di Renzi: dalla sinistra alla destra. Difficoltà che non sono tattiche e contingenti, tipo la decisione se votare o meno questo o quel provvedimento del governo, bensì strategiche. Il problema che affligge le diverse forze politiche è cosa inventarsi per resistere ad un Renzi politicamente bulimico, che piace ai moderati come ai fautori dell’antipolitica, che dà l’impressione di non lasciare alcuno spazio di manovra a chi lo sostiene in Parlamento come agli oppositori.

In pochi mesi il presidente del Consiglio ha aperto una lunga serie di dossier, compresi alcuni che per la sua parte politica suonavano come un tabu: dai rapporti col sindacato agli interventi in materia di impiego pubblico, dal superamento del bicameralismo perfetto alla riforma della Rai, dall’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti alla lotta contro la burocrazia. Ha affrontato con piglio deciso la questione delle nomine pubbliche (confermando la sua attenzione per le donne). Si accinge a mettere mano alla regolarizzazione delle unioni omosessuali, in attesa di aprire la partita sulla giustizia. Ha accettato il dialogo con Berlusconi (e adesso persino con Grillo) e non ha mostrato cedimenti dinnanzi alle pressioni delle minoranza interna. Forte del suo 40% di consensi è entrato a testa alta in Europa, di cui si appresta a prendere la guida per i prossimi sei mesi.

Si può dire – come sostengono i suoi critici – che non è tutto oro quello che luccica, che molte riforme sono state solo annunciate o appena avviate, che in Europa ha avuto le porte aperte solo perché si è accodato alla Germania e che per giudicare delle sue reali capacità di governo bisognerà aspettare ancora qualche mese. Ma ciò detto come negare gli effetti politici egemonici della sua azione a vasto raggio?

Colpisce in effetti il modo con cui tutti gli altri partiti siano costretti a seguirne l’agenda e i tempi, a interloquire con lui sempre alle sue condizioni. Così come colpisce la capacità di Renzi a fare propri temi e battaglie altrui senza perdere di capacità persuasiva: ai grillini ha soffiato la polemica contro la casta e gli sprechi, ai berlusconiani quella contro la burocrazia e i pubblici dipendenti fannulloni, alla sinistra radicale ha tolto le rivendicazioni in materia di diritti civili e a sostegno delle fasce sociali deboli, alla destra il patriottismo e la difesa dell’italianità, ai centristi l’esclusiva del moderatismo e la rappresentanza in via privilegiata del mondo cattolico, alla Lega la tutela degli interessi del Nord e del suo ceto produttivo.

Naturalmente non si tratta solo della forza mimetica di Renzi e del suo obiettivo dinamismo, ma anche della debolezza di proposta degli altri. L’opposizione dei grillini, che puntava allo scardinamento del sistema e al collasso istituzionale, si è alla fine scoperta sterile e improduttiva. Dopo mesi passati a sbraitare e insultare fa oggi una certa impressione vedere che si propongono come interlocutori in materia di legge elettorale di chi, ancora qualche settimana fa, chiedevano venisse mandato a casa a calci dagli elettori per essere un farabutto e un inconcludente.

Quanto al centrodestra, al suo interno regnano da mesi la confusione e le divisioni. Se un pezzo (minoritario) sostiene il governo, un pezzo (maggioritario) lo avversa, ma è costretto a sostenerne le riforme per non essere politicamente condannato all’irrilevanza. Il massimo che in questo momento può concedersi il Nuovo centrodestra è di fare ogni tanto la voce grossa in materia di immigrazione e ordine pubblico attraverso il ministro degli Interni Alfano. Ma qual è il quid politico di questa formazione agli occhi di quell’elettorato che esso dovrebbe garantire e rappresentare stando al governo? Quanto a Berlusconi, la sua unica preoccupazione, mentre la giustizia continua ad incalzarlo, appare quella di difendere la casamatta da ogni possibile rivale interno: ogni tanto prova a mandare qualche segnale di vitalità, ad esempio con la riproposizione del presidenzialismo, ma senza altro risultato che il plauso dei fedelissimi. La Lega, è vero, è cresciuta nei consensi, ma al prezzo di fare il verso all’estremismo xenofobo e antieuropeo di Marine Le Pen. Infine, la destra, quella vera: oltre ad essersi frantumata in mille rivoli, i suoi capi effettivi e potenziali continuano ad essere La Russa, Storace, Fini, Meloni, Alemanno e dinnanzi a questo scenario c’è poco da aggiungere.

Ma cosa significhi dover fronteggiare Renzi senza argomenti o valide proposte alternative, senza mostrare la sua stessa capacità ad innovare nel linguaggio e negli uomini, lo spiega bene la crisi della sinistra radicale o antagonista, da cui siamo partiti. Dopo che Renzi, nell’arco di pochi mesi, ha rivoltato il Pd e la sinistra come un calzino e lanciato al sistema politico italiano una sfida nel segno di un radicale rinnovamento che farsene del velleitarismo ideologico di un partitino come Sel, abituato ad opporsi sempre a tutto, e del protagonismo da affabulatore inconcludente del suo leader? E infatti anche quest’area ha finito per spaccarsi.

Il problema è che all’ansia di cambiamento e al disegno riformatore renziano non si possono opporre, come sembrano fare i diversi partiti, la difesa dello status quo o delle antiche appartenenze, un movimentismo fine a se stesso, parole ormai vuote come “moderato” o “centro”, il carisma di politici ormai al tramonto, visioni ideologiche superate dalla storia o la pura protesta. Sino a che ciò accadrà è facile immaginare quale strada spianata abbia davanti a sé il Pd per i prossimi anni.

 

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