di Giuseppe Balistreri
Uno dei commenti più diffusi ai discorsi di insediamento tenuti da Renzi al Senato ed alla Camera è stato che il neo primo ministro si è rivolto direttamente al paese, sporgendosi oltre i muri del palazzo. Come se i suoi onorevoli colleghi non fossero meritevoli di essere i destinatari del suo discorso. Tuttavia, anche a loro ha riservato alcuni messaggi più o meno aperti. Ha infatti rievocato i tempi in cui, anche da diverse sponde politiche, ci si rispettava: un monito anche per l’oggi, un appello a FI e al M5S ad una certa fairness.
Ad ogni modo il discorso di Renzi è stato insolito e certamente, se non ha scavalcato le istituzioni, come molti dicono, non le ha nemmeno prese tanto in considerazione. Il luogo in cui Renzi ha tenuto i suoi discorsi, il Parlamento della Repubblica, non lo ha indotto a tenere un registro linguistico appropriato. Renzi ha parlato come al suo solito, senza distinzione di sede e di contesto, non ha cambiato la forma della sua comunicazione. Nei suoi discorsi di insediamento si mescolavano un po’ tutti gli stili che gli sono serviti per la sua ascesa alla segreteria del Pd, ma è mancato quello che da adesso avrebbe dovuto qualificarlo come uomo di Stato. Iniziare il discorso citando Gigliola Cinquetti può essere una bella trovata, di sicuro fa anche molto nazional-popolare, ma certamente non si adatta alla circostanza. Una cosa infatti è un comizio, un discorso alla Leopolda, una riunione di partito, un dibattuto pubblico, una discussione allargata, un talk show, e via dicendo ed un’altra un discorso di investitura in parlamento. È probabile che Renzi lo sappia e che volutamente non abbia tenuto conto di queste differenze. Forse avrà pensato che le istituzioni fossero talmente discreditate, che aggirarle per rivolgersi direttamente al popolo fosse l’unica cosa giusta.
E così si è presentato davanti alle istituzioni, per il maggiore incarico politico, senza adoperare il linguaggio che si richiede in tali casi. E a volte neppure l’atteggiamento, che è stato non solo spigliato e informale, ma anche irrispettoso, con quel parlare a braccio e con le mani in tasca. Sembra che il bon ton non addica più al Parlamento dopo le scene da stadio a cui abbiamo assistito in questi anni e il gran numero di politici con i conti in sospeso con la giustizia che sono passati dalle aule parlamentari in questi anni, e non solo. E quale credibilità dare a deputati e senatori, che occupano indegnamente i loro scranni grazie al porcellum, e cioè alle designazioni dei leader e delle segreterie dei partiti?
Dunque Renzi ha parlato ad istituzioni fortemente screditate e ha tenuto a ribadire la sua distanza. Doveva assolutamente evitare di apparire come un membro della casta, lui che non è neanche parlamentare. E per questo avrà pensato che fosse più opportuno rivolgersi direttamente ai cittadini, alla “gente”. Anche il Presidente della Repubblica lo ha fatto nel suo ultimo discorso di fine d’anno. Ma quale differenza di stile!? Qui veramente due ere di linguaggio politico si trovano a confronto: il linguaggio delle istituzioni, forbito e articolato, che non cessa mai di essere tale anche quanto fa proprio il punto di vista della gente comune, e il linguaggio quotidiano di chi sta fuori dalle istituzioni, trasposto al loro interno, dall’altro.
Insomma, abbiamo visto quella che si potrebbe chiamare una presa linguistica della Bastiglia o del Palazzo d’Inverno. Da questo punto di vista, e cioè da quello del linguaggio, la rivoluzione c’è già stata in Italia, ed ecco ora Renzi che viene a ribadirla. Da questo punto di vista Bossi, Berlusconi, Grillo e ora Renzi appartengono, in modo diverso e con le loro specificità, ad una stessa meteora, che ha trovato nel linguaggio la prima forma per rovesciare le istituzioni. Essi sono stati anche i modelli vincenti negli ultimi vent’anni. Da questo punto di vista, si comprende anche perché ad un certo punto, e smentendo le sue stesse buone intenzioni, Renzi si sia visto costretto a defenestrare il buon Enrico Letta, un vero uomo delle istituzioni, ma che dal punto di vista del linguaggio politico veniva a rappresentare un vero e proprio ancient régime, che sarebbe stato fatto fuori in ogni caso dai suoi ben più agguerriti avversari ed in particolare da Grillo (con una continua guerra parlamentare di logoramento ed infine con le elezioni), se Renzi non avesse deciso di passare all’attacco. Il tempo degli animali politici come Prodi, D’Alema, Bersani, è finito, oggi è il tempo dei capipopolo e dei demagoghi in versione mediatica. Non sappiamo ancora se Renzi sia un animale politico che ha messo i panni di questi ultimi o se vi faccia parte a pieno titolo.
Lascia un commento