di Chiara Moroni
Che lo Stato, nel suo sistema istituzionale come in quello politico, si sia trasformato in un palcoscenico sul quale va in scena lo spettacolo quotidiano della politica, lo scriveva già nel 1977 Roger Gerard Schwartzenberg nel suo “Lo Stato spettacolo”. Oggi però la messa in scena è divenuta l’obiettivo, lo scopo, l’elemento centrale delle strategie politico-istituzionali. La forma è divenuta essenziale rispetto alla sostanza, e l’universo di senso del-la politica è definito non più da una comunità ma dai singoli leader-attori della messa in scena pubblica.
In modo particolare nel nostro Paese, e nello specifico di questa campagna elettorale per le elezioni europee, i protagonisti dello “spettacolo” nazionale politico-istituzionale sono solo tre: Renzi, Grillo e Berlusconi.
La particolarità non sta più e non tanto nell’estrema personalizzazione della politica che ha semplificato il dibattito riducendolo a slogan superficiali e quindi buoni per tutti, quanto nel fatto che nessuno dei tre è candidato all’europarlamento e al tempo stesso, per motivi diver-si, sono tutti e tre extraparlamentari. Renzi non è stato legittimato da un suffragio elettorale, ma da una scaltra manovra tattica consumata tutta all’interno di un singolo partito. Grillo è da sempre il comico dall’invettiva ardita ed emotiva che non si è mai personalmente con-frontato con le urne. Berlusconi, che al contrario è stato ripetutamente legittimato dal voto popolare, è uscito dal Parlamento perché cacciato dai suoi guai giudiziari, incarnati dai col-leghi senatori che hanno votato la sua decadenza da senatore.
È forse la prima volta che la politica si mostra così polarizzata e al contempo che i protago-nisti di questo processo siano esterni ad ogni assemblea legislativa.
I tre unici attori della politica italiana occupano la scena mediatica in modo personale ed e-sclusivo, sostituendo in ogni occasione i veri candidati alle elezioni europee: si dà per scon-tata la loro omologazione in termini di idee e di atteggiamenti al leader.
Oltre ad una ormai fisiologica tendenza alla personalizzazione della politica e alla perdita di rilevanza delle strutture di partito, esistono due ordini di ragioni che spiegano questa radica-lizzazione dell’accentramento esclusivo della strategia scenica e politica nelle figure dei leader. Il primo riguarda il fatto che in ognuno di questi casi la narrazione politica e la scelta dei codici comunicativi ed espressivi si sviluppano esclusivamente sulle personali, e quindi esclusive, capacità empatiche e persuasorie dei singoli leader. Divenuti superflui i temi, i valori di riferimento e i contenuti politici – che per loro natura possono essere espressi e so-stenuti da tutti coloro che decidono di immedesimerai in essi – nel momento in cui gli unici elementi distintivi e potenzialmente vincenti sono la capacità scenica, la perizia comunicati-va e la sensibilità empatica, diviene impossibile riprodurre quel particolare e unico modo di essere e di esprimersi, di convincere e di raccogliere consenso propri del singolo leader.
Il secondo ordine di ragione è legato alla particolare situazione politica che è andata matu-rando in Italia negli ultimi anni. Per ragioni diverse ognuno dei tre leader non si fida e quin-di non si affida, alle capacità di chi li circonda: candidati, parlamentari, uomini e donne di partito.
Renzi ha sì molti sostenitori all’interno del partito, ma anche altrettanti detrattori, situazione che lo spinge a “far da sé” e a temere la dimensione più squisitamente partitica della sua at-tività politica.
Grillo non ha idea di chi siano gli uomini e le donne che si candidano e scendono in campo sotto la bandiera del suo movimento: non li conosce e non li vuole conoscere, gli basta solo che aderiscano e seguano acriticamente i dictat che egli stesso impone sulla base di una quantomeno discutibile legittimazione del “popolo della rete”.
Berlusconi ha fatto dell’accentramento personalistico della vita del partito una vera e pro-pria filosofia basata su una concezione aziendalistico-padronale. Egli ha coscientemente fat-to in modo che all’interno della sua organizzazione politica non fosse possibile realizzare un normale e auspicabile percorso di formazione e di crescita della classe dirigente. Non si fida perché è perfettamente consapevole dei limiti personali e professionali di chi lo circonda.
Un insieme di questioni strutturali e soggettive, politiche e mediatiche ci impone oggi una politica fatta di colpi di scena, invettive satiriche, annunci ad effetto. Renzi e Berlusconi oc-cupano quotidianamente la televisione, imponendoci una overdose di slogan, annunci e pro-spettive improbabili. Grillo da sempre si nasconde dalla tv -salvo poi farvi irruzione come e quando vuole lui – e anche quando le si concede lo fa con l’atteggiamento dell’eccezionalità creando quindi l’evento mediatico.
Tra tutte questa dinamiche sembra che si perda del tutto il senso di cosa sia la politica e di come la si debba incarnare perché svolga le sue funzioni di gestione, armonizzazione e so-stegno degli interessi particolari e di quelli generali, di crescita e sviluppo del Paese, di dife-sa e di costruzione del futuro sociale ed economico di una comunità nazionale.
Commento (1)
Albino Galuppini
Un mio articolo su Grillo e gli USA:
http://pianetax.wordpress.com/2014/05/23/perche-gli-usa-votano-beppe-grillo/