di Chiara Moroni
Matteo Renzi è diventato il leader più mediatico della nostra storia politica, superando il maestro – Silvio Berlusconi – in tatticismo e spregiudicatezza nell’uso delle parole e nella forza performatrice degli annunci. La questione è di forma e di sostanza: le sue politiche sono elaborate alla luce dell’effetto mediatico che potrebbero ottenere e vengono presentate nel formato più adatto al pubblico che si vuole raggiungere. Ecco allora che la finanziaria si illustra in conferenza stampa con slide tecniche per un elettorato medio-alto di imprenditori, liberi professionisti, esperti di vario genere. Il “famigerato” bonus bebè va invece annunciato nel salotto domenicale della D’Urso ad un pubblico nazionale-popolare composto soprattutto di donne, con un consumo televisivo fidelizzato e politicamente schierato con Berlusconi.
In questo quadro è comprensibile la rivolta, interna e non, di chi la politica la vuole condurre in modo tradizionale se non obsoleto, ma va detto che tecnicamente la sua comunicazione è strategicamente eccellente, tanto che i risultati sono un consenso personale oltre il 50%.
Al di là di questo consenso, il vero limite di Renzi è la sua stessa politica, infarcita com’è di tatticismo di breve periodo, rispetto sia alle scelte di Governo, sia all’obiettivo più squisitamente politico che è quello di unificare un potenziale elettorato solo sulla base di interessi particolari. Ma la strategia politica è altra cosa, cementare questa area di consenso eterogenea e composita attraverso la difesa di tanti diversi interessi immediati, mostra tutti i limiti della mancanza di visione, necessaria alla politica e al Paese per costruire il futuro.
Se è vero che la prospettiva renziana soffre di una limitatezza strategica e temporale, è pur vero che oggi Renzi assorbe tutto lo spazio e tutto l’interesse pubblico e mediatico perché l’uomo è in grado di produrre un movimento costante – e dissimulatorio – di opinione e speranze, un coacervo di emozioni e aspettative sapientemente orchestrate da strategie comunicative molto efficaci. La personalizzazione della politica, avviata dall’era berlusconiana, ha oggi raggiunto con Renzi livelli estremi, nei quali il leader diventa l’eroe che come un moderno Davide a colpi di twitt combatte – e sconfigge? – un intero sistema politico-istituzionale e culturale. Altro che i “parrucconi” della politica contestati da Berlusconi, Renzi è andato oltre, costruendo un nuovo immaginario politico che non è né di destra né di sinistra, ma è capace, tra camice bianche e selfy, di proporre un discorso pubblico generazionale che riesce a coinvolgere tutti. In attesa che “i nodi vengano al pettine”, Renzi resta la voce solista della politica italiana, nella generale debolezza degli oppositori di destra e di sinistra.
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