di Antonio Campati

matteo-renziAscoltando il discorso con il quale Matteo Renzi ha chiuso pochi giorni fa la Festa nazionale de l’Unità a Milano, in molti probabilmente avranno avuto l’impressione di assistere a un format comunicativo ormai collaudato. Il premier, infatti, ha fatto un discorso appassionato e veloce, accompagnato da immancabili slide e da una buona dose di retorica. Chi si è soffermato sui dettagli della tecnica oratoria adottata dal Presidente del Consiglio non ha potuto fare a meno di riconoscere uno schema che viene riproposto con modalità in larga parte inalterate

Prima di giungere fra gli stand della festa, Renzi si è trattenuto per qualche ora all’autodromo di Monza per assistere al Gran Premio di Formula Uno. Con gli occhi puntati al monitor che trasmetteva le immagini della gara e con le cuffie ben strette sulle orecchie, il premier si è fatto riprendere e immortalare mentre partecipava a uno degli appuntamenti più seguiti dagli appassionati di sport (e non solo). Con la sua presenza, Renzi ha voluto rendere palese l’attenzione del governo italiano per le sorti dell’accordo che consente all’autodromo di Monza di ospitare il Gran Premio, testimoniata dal colloquio che il premier ha avuto con Bernie Ecclestone

Al termine della visita, il segretario del Pd si è trasferito alla festa del Pd dove, come si accennava, ha tenuto un discorso al contempo emotivo e pragmatico. Un intervento che ha provocato forti emozioni in gran parte dei convenuti poiché Renzi ha evocato alcuni temi cari alla tradizione culturale della sinistra («io ho fatto una sola richiesta alla Rai in questi mesi: che il 25 aprile andasse in onda in prima serata una trasmissione sulla Resistenza, perché noi vogliamo prendere quei grandi vecchi per mano e portarli con noi nel futuro»), ricordando il suo impegno nel farli vivere in maniera tangibile («Abbiamo riportato l’Unità in edicola, e le nostre feste sono tornate a chiamarsi feste de l’Unità»). Eppure, richiami come questi avranno probabilmente meravigliato alcuni presenti. Ma chi si è illuso, per qualche frazione di secondo, che Renzi potesse arretrare rispetto ad alcune decisioni assunte negli ultimi mesi – eventualmente ammorbidendo le sue posizioni nei confronti della minoranza del Pd, a sua volta molto dura nel giudicare l’azione di governo – si è dovuto subito ricredere.

Già da questa breve cronaca degli spostamenti del premier, è possibile scorgere tre aspetti di fondo imprescindibili per analizzare la sua presenza pubblica: la comunicazione, l’immagine, la leadership. Una comunicazione fluida ed emozionante, un’immagine friendly e una leadership forte. Ruota proprio attorno a questi capisaldi Il metodo Renzi. Comunicazione, immagine e leadership (Armando Editore, pp. 156, € 15,00) di Alberto Galimberti, un libro che però ha il pregio di non soffermarsi solo sul racconto di singoli episodi dell’attività del premier, ma propone uno sguardo d’insieme dei quasi cinque anni che lo hanno visto alla ribalta sulla scena pubblica. L’autore intervalla analisi dedicate alla comunicazione pop di Renzi (Leopolde e comizi show), alla descrizione del profilo dell’everyday man, dell’uomo anti-casta, prossimo anche in senso fisico ai cittadini, che non disdegna affatto la prospettiva di una leadership intesa come espressione dell’«uomo solo al comando» (su quest’ultimo punto, per esempio, viene ricordata la totale discordanza di vedute fra l’attuale premier e Pier Luigi Bersani).

Aiutato anche da brevi, ma puntuali interviste a docenti ed esperti (fra i quali, per ricordare qualche nome, Anna Sfardini, Gianluca Giansante, Sara Bentivegna, Marco Valbruzzi, Sofia Ventura), Galimberti traccia i caratteri del «metodo» di comunicazione e azione politica di Renzi, che ha consentito a un ragazzo della provincia fiorentina di giungere al vertice di Palazzo Chigi nel giro di pochi anni. Ma, come sottolinea lo stesso autore in conclusione, è «l’Abc del metodo Renzi che finora ha funzionato», favorendo una modalità inedita di presentarsi e agire all’interno dell’arena politica. In futuro, occorrerà capire se il «metodo Renzi» sarà stato in grado di trovare una declinazione altrettanto efficace nella dimensione governativa e allora potrà ancora essere utile riprendere fra le mani il lavoro di Galimberti per scoprire come e da dove l’esperienza dell’attuale premier ha avuto inizio.

 

 

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