di Renata Gravina

Vàclav Havel, protagonista della rivoluzione di velluto, come della riconciliazione ceco-tedesca,  censore del passato totalitario e bellico, ha rappresentato per i cechi un pivot geopolitico. Nonostante ciò il suo suicidio politico è stato inevitabile, forse perché da intellettuale si è voluto mescolare con la democrazia e ai dividendi è rimasta solo l’ amara constatazione di un fallimento.
Va ricordata la testimonianza degli ultimi anni di un Havel straniero in patria, isolato politicamente e spiritualmente, sopraffatto da se stesso e dai principi contro i quali ha lottato. Il suo partito, il Forum Civico, si è originato e scisso internamente nell’ arco di tre anni, quando nel 1991 cavalcando l’onda  neoliberista Vàclav Klaus gli si è sovrapposto. Anche la battaglia per la sussistenza dei röm contro il razzismo atavico non è bastata.
Dopo aver reinventato il potere dei senza potere e relegato il comunismo nel museo delle illusioni perdute, Havel ha dovuto constatare anche in Repubblica Ceca  il fenomeno della depressione post -comunista. L’ assenza di un potere coercitivo forte priva il corpo dell’essenza stessa del suo essere e scivola inevitabilmente nella corruzione e nel razzismo. Havel è stato innanzitutto un intellettuale, un drammaturgo, poi statista capace di far confluire ragione di stato ed umanismo, infine o in principio, un dissidente, un rappresentante  dell’arco evolutivo della Repubblica Ceca e la sua prima figura istituzionale di rilievo. Così si è scoperto piegato su se stesso.
Oggi il governo ceco è rappresentato da Petr Nečas primo ministro di Ods (partito democratico civico) di cui fa parte anche il  Presidente della Repubblica Vàclav Klaus ed  entrambe sono in coalizione con VV  (Affari pubblici) e Top09 (Tradizione, responsabilità, prosperità). Si può certo considerare  un governo detonatore per le potenze di centro-destra, affascinato dalla radicalità  a causa di una connivenza con l’ ABL, agenzia di sicurezza capeggiata da Vit Bàrta, ex ministro dei trasporti di VV e figura princeps di focolai populisti anti rom. Barta, insieme al partito Dlnická Strana  (partito per la giustizia sociale)  costituisce l’ essenza di una radicalità razzista endogena ed esogena. DS,bandito da una sentenza della corte di giustizia ceca e rinato con uno pseudonimo DSSS, organizzava rivolte ispirate ai pogrom agendo anche al di fuori del margine ceco di competenza attraverso seguaci cechi in Boemia. «Siamo la voce del popolo» affermava Nestler, rappresentante dei  DSSS neo-nazisti.
Le tendenze radicali del paese sono la risultante di processi storici di lungo periodo entro e tra i confini della Repubblica Ceca. Il perenne conflitto d’ identità con la Slovacchia si somma alle recrudescenze cicliche delle classi pericolose che riemergono con forza in periodi di crisi istituzionale ed identitaria. L’insostenibile pesantezza della crisi economica europea e del nazional-populismo fa riemerge quegli interrogativi posti negli anni Sessanta dalla polemica tra Kundera e Havel sul “destino ceco”: come  avrebbe potuto affermare lo stesso Havel,  la primavera di Praga e la rivoluzione di velluto appaiono oggi sempre più come il “ricordo commovente del passato chiuso”.

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