di Luca Marfé
La campagna elettorale non è finita mai, ma questa volta ricomincia per davvero.
Donald Trump è a Orlando, in Florida. Cammina avanti e indietro su un palco immerso in una folla rossa e festante. «Make America Great Again», si legge sui cappellini di migliaia e migliaia di sostenitori. «Keep America Great», rilanciano gli schermi e grida lui, svelando così la riedizione di uno slogan che, comunque lo si voglia leggere, è già entrato di diritto nella storia degli Stati Uniti.
“Mantenere l’America Grande”, dopo averla resa tale.
Secondo qualcuno, non è mai successo. Secondo il pubblico dell’Amway Center, Trump è l’unico che possa difenderli.
È questa la vera chiave: la paura che il tycoon aveva già agitato ad arte nel 2016 e che, con precisione abbinata a puntualità, torna a muovere assieme ai suoi primi nuovi passi.
In estrema sintesi?
Se non dovessi essere rieletto, saremmo invasi dagli immigrati, avremmo delle frontiere in brandelli, la aziende ricomincerebbero a delocalizzare, la disoccupazione tornerebbe a salire.
I democratici, insomma, distruggerebbero il Paese.
Un elenco pressoché infinito di possibili disastri, in agguato dietro l’angolo del prossimo anno e da evitare assolutamente. Un’operazione nostalgia in cui arriva persino a citare Hillary Clinton, come se il tempo fosse rimasto sospeso attorno alle prese in giro, ai sondaggi sbagliati e alla vittoria epica.
Proprio i sondaggi lo danno indietro, però. E non soltanto rispetto al favorito Joe Biden, ma anche nei confronti di altri avversari dem.
Trump lo sa e, un po’ per scaramanzia e un po’ per sparare a zero sui media («Fake News!»), quasi cavalca l’onda, suonando la carica dei suoi e chiamandoli a raccolta al voto con un anno e mezzo di anticipo.
E attenzione. Perché se esistesse un premio per i motivatori della politica, The Donald lo vincerebbe per sempre.
Nessuno come lui in fatto di arrembaggi.
Quello alla conquista del 2020 e quello alla riconquista della Casa Bianca cominciano qui, adesso.
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