di Danilo Breschi
Questo agile libretto, intitolato semplicemente, “Tecnologia ed etica” (prefazione di Dario Antiseri, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2013), consente di poter nuovamente apprezzare anche in Italia l’intelligenza di Karl Popper, da sempre ispirata ad un razionalismo equilibrato e autocritico ed espressa con un linguaggio piano e comprensibile da tutti. Sono ora tradotti in italiano due testi che riproducono rispettivamente una conferenza e un dibattito a cui il filosofo austro-inglese partecipò nel settembre del 1992 con alcune personalità della politica, della cultura e dell’economia tedesche. A ciò si aggiunge una breve intervista a cura di un giornalista tedesco.
Invitato dall’Unione Industriale Automobilistica Tedesca (VDA), Popper affronta il tema del rapporto tra tecnologia ed etica. Punto di partenza della conferenza è l’analisi del movimento dei Verdi, che, pur all’epoca già affermatosi a livello internazionale, aveva comunque avuto in Germania il primo importante sviluppo e successo politico-elettorale sin dalla fine degli anni Settanta. Popper non si nasconde che molti dei nostri attuali (negli anni Novanta come vent’anni dopo) problemi ecologici derivano dall’esplosione demografica. Una Terra sovrappopolata produce «permanentemente tutti gli errori ecologici possibili» ed è dunque evidente che «un movimento verde razionale» potrebbe risultare alquanto utile alla collettività. Una sorta di sentinella in servizio permanente effettivo che ci mette in guardia e suona l’allarme ogni qualvolta i nostri comportamenti possono effettivamente mettere in pericolo l’ecosistema. Effettivamente, però. E messa in guardia e allarme devono giungere da analisi rigorosamente scientifiche e non pregiudizialmente avverse all’uso della tecnologia. Popper invece registra una ostilità preconcetta dei Verdi tedeschi nei confronti della tecnica e della scienza della natura. Ciò è peculiarmente tedesco, egli sostiene. Dipende dal fatto che «i tedeschi si fanno impressionare dai loro filosofi anche quando questi filosofi dicono delle assurdità incomprensibili, che purtroppo sui tedeschi fanno una profonda impressione».
Principale bersaglio della critica popperiana è dichiaratamente il filosofo Martin Heidegger e il suo lascito intellettuale, assai più vasto ed influente di quel che si potrebbe pensare. Popper non usa mezzi termini: «Io ritengo Heidegger un impostore, un falsario, e lo disprezzo perché lo ritengo un vile e un opportunista». E aggiunge: «La sua fama mondiale è uno scandalo per la filosofia, sia essa tedesca o internazionale». Il segreto del fascino esercitato dalla filosofia heideggeriana consisterebbe tutto nella banalità di un discorso rivestito con un linguaggio fumoso ed incomprensibile. L’effetto finale è che il lettore «constata di aver già pensato per conto proprio qualcosa del genere, ed è fiero di comprendere un’opera così profonda», o meglio: apparentemente tale. Si tratta di un «inquinamento linguistico» grave almeno quanto quello ambientale.
Il tono apocalittico spesso usato dai Verdi tedeschi ci induce, secondo Popper, a non prestare più ascolto ad altri argomenti meno isterici e più ponderati, non per questo meno critici del nostro attuale disinteresse per l’ambiente. Ne consegue che rischiamo tutti di prendere sotto gamba quelli che restano rischi effettivi in tema di ambiente ed equilibrio demografico ed ecologico. Questa è una lezione che dovrebbero apprendere i media contemporanei, ammesso e non concesso che interessi loro davvero qualcos’altro che non sia l’incremento degli ascolti e delle tirature: allarmare è il modo migliore per paralizzare ogni iniziativa e ogni intervento volti a prevenire quell’allarme.
Popper invita a indossare e mai dismettere i panni di «cittadini intellettualmente responsabili, razionali e critici». Non dobbiamo perciò dimenticare quel che lo sviluppo della tecnica ha fatto negli ultimi cento anni. Le sue conseguenze sono state anche di natura etica, perché è grazie alla tecnologia che l’idea di progresso è potuta diventare realtà. Riduzione delle disuguaglianze ed emancipazione della donna, ad esempio, sono state conseguenze dirette dei progressi compiuti dalle scienze applicate. Lo stesso problema demografico può essere affrontato dalla tecnica in sostituzione di quel che fino a ieri era stata la soluzione più frequente ed efficace, le carestie. Ecco il risvolto etico della tecnologia.
Se comfort e progresso farmacologico hanno determinato l’attuale sovrappopolazione, la stessa scienza ci offre la possibilità di un controllo delle nascite che per Popper non ha niente di maltusiano, ma è la possibilità di far sì che «non sia partorito nessun figlio non voluto». E qui il filosofo chiude la sua conferenza, aprendo però tutto un fronte di discussione estremamente delicato, che mette in gioco non soltanto la fede religiosa ma anche il tema dei diritti di soggetti terzi, come il nascituro. Anche nel dibattito che segue la conferenza Popper non si sottrae a temi scomodi né evita affermazioni impopolari, dichiarando, ad esempio, di aver «considerato la guerra del Golfo necessaria» e che, «se siamo per la pace, in date circostanze noi dobbiamo combattere per la pace». Siamo nel 1992 e il filosofo valuta persino la possibilità di un intervento militare Onu in Jugoslavia per por fine alla guerra civile che stava all’epoca cominciando a dilagare.
Nella discussione compare anche uno dei temi cari all’ultimo Popper: la televisione come “cattiva maestra”. Se la democrazia, come del resto la stessa civilizzazione, è «regolamentazione, restrizione e limitazione della violenza», un uso spregiudicato della televisione, specie nei confronti di un pubblico di minori, comporta rischi gravissimi. Torna così l’idea della licenza da conferire a chi opera nel mondo della comunicazione televisiva, per responsabilizzarlo, dal momento che fa uso di un «potere educativo enorme».
In conclusione, il messaggio di Popper è che la tecnica crea anche civiltà, perché «può renderci non solo più liberi, ma può metterci in grado di adempiere sempre meglio ai nostri doveri naturali». Come a dire che il liberalismo popperiano, fallibilista e falsificazionista, contempla anche qualcosa che «non viene assolutamente messo in dubbio, che dovrebbe far parte del nostro comportamento, della nostra stessa vita». Il dovere, appunto.
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