di Sofia Ventura*

Berlusconi si è dimesso, finisce una lunga stagione politica e finisce con un fallimento. Non abbiamo visto nulla della rivoluzione liberale promessa; al governo e al suo leader sono mancate la capacità, la volontà, l’intenzione di porre seriamente mano a riforme strutturali indispensabili, tanto indispensabili che il non averle fatte ha condotto l’Italia ad essere umiliata e commissariata. E la consapevolezza che nessuna forza politica alternativa avrebbe saputo incidere in modo rilevante sui mali italiani e difficilmente sarebbe stata in grado di invertire la tendenza verso il declino non rende meno vere e drammatiche queste considerazioni.

E ora? Ora il governo Monti riuscirà probabilmente a realizzare ciò che sarebbe impossibile per qualunque maggioranza unita da un vero e proprio accordo politico. La drammaticità del momento, il consenso delle maggiori forze politiche e soprattutto quello dell’opinione pubblica, renderanno attuabile ciò che per un governo ordinario di destra o di sinistra (della destra e della sinistra italiane, beninteso) sarebbe stato impensabile.

Monti probabilmente otterrà risultati importanti grazie ad un passo indietro della politica, una politica inadeguata che ha avuto un soprassalto di dignità riconoscendo di fatto la sua incapacità . Ma la politica nutre la democrazia, non potrà essere così troppo a lungo, entro il 2013 si tornerà comunque alle urne. A quel punto sarà necessario di nuovo un passo in avanti. In che modo sarà fatto? Questo è il punto.

Mario Monti farà una parte del lavoro sporco per chi gli succederà. Un po’ come Thatcher lo fece per Blair, si parva licet. Ma chi gli succederà dovrà essere in grado di continuare il lavoro, di continuare a governare e governare significa decidere liberi dai poteri di veto delle corporazioni e dei vari interessi organizzati, governare significa decidere anche sapendo che si vanno a colpire interessi e privilegi delle proprie constituencies. Ciò significa che l’Italia avrà un futuro se riuscirà a completare la sua transizione e a trasformarsi in una democrazia “decidente”. E una democrazia decidente è una democrazia con esecutivi forti, con leader capaci e riconosciuti, con una competizione chiara tra progetti alternativi.

Sarà possibile produrre un tale esito? Non sarà facile. Per arrivarci sarà necessario che le maggiori forze politiche giungano al voto pronte ad assumersi una tale responsabilità. Nuove regole per rafforzare il nostro sistema di governo saranno possibili solo se il prossimo parlamento si aprirà con una maggioranza chiara e una opposizione altrettanto chiara e l’una e l’altra dovranno essere il più possibile omogenee. Oggi le condizioni perché ciò si realizzi mancano totalmente. Nulla ci lascia sperare che il prossimo governo sarà retto da una maggioranza chiara e coesa, per continuare nel risanamento del Paese e al tempo stesso per dargli quelle regole che lo trasformino definitivamente in una democrazia competitiva e solida.

La destra è nel caos, il Pdl rischia l’implosione, la Lega sta riacquistando la propria autonomia nel tentativo di arginare la propria crisi di consenso e le proprie divisioni interne, il Terzo Polo continua ad essere ambiguo quanto ad obiettivi e strategie e pare incapace di proporre messaggi e progetti in grado di farne l’erede del partito berlusconiano. La sinistra è frammentata e il partito maggiore, il Pd, l’unico potenzialmente in grado di parlare ad un elettorato moderato, anche ad ex elettori del centrodestra, rappresenta poco più della metà di un arco che contiene al suo interno forze radicali con un peso ragguardevole. Sperare che i due poli riescano a riorganizzarsi, che due grandi partiti riescano a diventarne il traino, in un anno o poco più (sempre che questo sia il tempo a disposizione) pare un’ingenua utopia. Eppure, se ciò non accadrà l’Italia sarà destinata a continuare nel suo declino.

La fase che si apre potrà dunque essere utilizzata dalle maggiori forze politiche per tentare di realizzare quella che appare un’impresa disperata. Ad oggi è difficile immaginare chi possa riprendere in mano la situazione in un Pdl libanizzato, un partito che non è mai stato tale per il colpevole comportamento non solo del suo leader, ma di una classe dirigente che ha prosperato alla sua ombra totalmente incurante del futuro. Forse sarà il suo attuale segretario, che sino ad oggi si è comportato da obbediente soldatino, ma che da domani potrebbe tentare di raccontarci un’altra storia; chissà? Il Terzo Polo, lo abbiamo detto, difficilmente sarà in grado di porsi alla guida della destra e alcune sue componenti hanno probabilmente altri obiettivi, sembrano più interessate alla creazione di un comodo centro dal quale distribuire le carte; tuttavia, anche se l’illusione che potesse essere Gianfranco Fini a guidare la ricostruzione del centrodestra si è dissolta nel giro di poco tempo, la destra avrà un futuro solo se almeno una parte di esso riuscirà a farsi parte attiva di una nuova fase costituente con ciò che rimane del partito di Berlusconi. A sinistra è solo il Partito democratico che può rendere concreta la possibilità che si crei uno schieramento alternativo coerente e capace di governare. Ma il Pd dovrà rompere con le proprie ambiguità, sia sul piano dei contenuti da proporre per il governo del paese (prendendo anche le distanze dalle grandi forze organizzate che sino ad oggi hanno svolto un ruolo di freno e conservazione), sia su quello della forma-partito, non temendo una sua presidenzializzazione, ovvero la sua riorganizzazione attorno ad un leader riconosciuto capace di portare alla vittoria. Per fare questo dovrà aprirsi senza esitazioni alla competizione interna, rendendo al più presto chiari tempi e percorsi per individuare il suo futuro candidato alla premiership, sfuggendo alla tentazione di delegittimare e ostracizzare chi osa sfidare gli attuali equilibri di potere.

Ma nella la fase che si apre chi non ha nostalgia per gli opachi e oligarchici meccanismi della Prima repubblica e crede che l’alternanza costituisca un meccanismo essenziale per il buon funzionamento di ogni grande democrazia, dovrà vigilare affinché non abbiano successo i tentativi che verranno messi in atto per risucchiare il sistema politico verso un nuovo centro, indispensabile per ogni coalizione e inamovibile, così come i tentativi di imporre agli italiani, che con il loro comportamento di voto hanno ripetutamente dimostrato di credere nella democrazia dell’alternanza, un nuovo sistema elettorale proporzionale.

Forse tutto questo, lo ripetiamo, può sembrare un sogno impossibile, ma se non sarà realizzato ci troveremo presto in un incubo, l’incubo di un paese di serie c dal quale andarsene il prima possibile, per chi potrà permetterselo.

* Docente dell’Università di Bologna e direttore del Dipartimento Sistemi di governo e politiche pubbliche dell’Istituto di Politica

Commento (1)

  • Il Giorno dopo – Radio Vortice

    […] La sensazione è quella che sia finita una stagione. Non è la prima volta che Berlusconi viene dimissionato, accadde nel 95, ma erano altri tempi e la motivazione reale erano i suoi problemi con la Lega. Oggi il Cavaliere va via perché i mercati, le associazioni datoriali, le cooperative, gran parte del mondo sindacale e, stando ai sondaggi, circa il 60% dei cittadini non lo vuole più e ha deciso di mettersi nelle mani del Quirinale. Napolitano in questi mesi ha rappresentato l’interesse nazionale più di chiunque altro, ha compensato con il suo british style la perdita di credibilità internazionale e lui, molto più di qualunque forza politica, sta tentando di traghettare il Paese in una fase nuova. Per certi versi i dolori che l’Italia patirà con la cura di “lacrime e sangue” che certamente il bocconiano Monti ci dovrà propinare, saranno non dissimili dai dolori di un parto: ciò che nascerà sarà la Terza Repubblica. Come sarà questa Repubblica non lo sappiamo, dipenderà da tantissimi fattori, dai riequilibri che avverranno a destra, come dalle scelte che i leader dei partiti del centrosinistra decideranno di fare. La vera incognita è sapere se la Terza Repubblica somiglierà alla Prima oppure se sarà la Seconda riveduta e corretta, con le riforme istituzionali necessarie (rafforzamento dell’esecutivo, nuovi regolamenti parlamentari, fine del bicameralismo perfetto) a salvare il buono del bipolarismo. […]

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