di Domenico Letizia
Sono ormai decenni che le varie correnti economiche, politiche e sociali dibattono sui problemi di fondo del sistema economico novecentesco e delle sue cicliche crisi: colpa del mercato o colpa dello stato? A rimetterci da sempre è il mercato visto come il male da arginare, da controllare, da fermare attraverso politiche di stato e una forte economia assistenzialista. Il problema dei vari analisti è la totale e completa confusione che regna tra il termine mercato e il termine capitalismo.
La sinistra è da sempre in prima fila nell’attaccare il “liberismo selvaggio” definendolo il magma centrale dell’ingiustizia, del consumismo, della catastrofe ambientale e dell’alienazione proletaria: insomma, il vero nemico è il “libero mercato”. Qualcuno potrebbe però chiedersi: “Ma dove risiede tutto questo libero mercato?”. Ecco il punto cruciale: le colpe del capitalismo vengono trasferite al mercato, dimenticando che il capitalismo puro non è mai esistito, in quanto l’attuale sistema che conosciamo, definito capitalismo industriale, è sempre cresciuto grazie solo ed unicamente alla mano amica, cioè le sovvenzioni dello stato. La rivoluzione economica dovrebbe partire da questo presupposto, e a capirlo (in questi periodi che di “libero scambio” non possiamo affatto parlare, dato l’eccessivo intervento statuale e tecnico finanziario) sono proprio i marxisti che nell’elogio dello statalismo, per secoli, hanno descritto quale per loro era la soluzione alle ingiustizie.
Eric Hobsbawm, uno dei maggiori teorici inglesi del marxismo, analizzando la società contemporanea ha dichiarato: “Il capitalismo di stato sostituirà quello del libero mercato”. Hobsbawm analizzando l’attuale economia globale, parte dalla Cina e descrive di centinaia di contadini che abbandonano il mondo rurale per divenire proletari nella grande industria di stato, la fine dell’economia liberale come l’abbiamo sempre conosciuta. Un marxista che parla di capitalismo di stato, dovrebbe anche capire che quello che la società contemporanea sta vivendo non è altro che l’esasperazione dell’interventismo pubblico, da sempre incisivo nell’economia e nella libera impresa, che non è mai sinceramente esistita se non in piccole dimensioni.
Se solo si comprendesse questo ragionamento, analizzando una volta per tutte le problematiche che lo statalismo, con le sue interferenze, sistemazioni, clientele, dogmi e istruzione crea, si capirebbe che il vero problema consiste proprio nei rapporti del grande capitalismo con la politica, l’ordine mondiale finanziario e bancario, altro che libero mercato e liberismo selvaggio.
Come sta accadendo, l’attuale sistema sta conducendo alla creazione di una nuova e moderna oligarchia, il governo dei pochi ricchi che domina e dirige attraverso le armi del capitalismo di stato e del protezionismo statuale; allora constato ciò, non è giunto il momento di richiedere libertà invece che assistenzialismo? Non è giunto il momento di creare un sistema welfare alternativo a quello statuale, concretamente libertario? Forse i prossimi decenni ci mostreranno l’anomala unione dei marxisti e dei liberisti, liberi dalle formulazioni meccanicistiche dei loro dogmi, nel combattere e nel tentare di fermare il potere del Leviatano per la libertà e la creatività. Solo allora, forse, concludendosi l’era dell’attuale capitalismo industriale, finirà anche il sistema ad esso parallelo: lo stato.
Lascia un commento