di Alessandro Campi

La verità è che se Renzi avesse vinto le primarie non avremmo avuto lo spettacolo – che non è nemmeno noioso, ma sconfortante – cui invece ci tocca di assistere quotidianamente, e che ci accompagnerà sino al giorno del voto e forse anche oltre. So bene che un’affermazione del genere, non potendo essere verificata empiricamente, lascia il tempo che trova. So anche che a molti – soprattutto nel Pd – un simile pensiero non piace per nulla, perché se rispondesse al vero dovrebbero ammettere di aver sbagliato tutto. E so ancor meglio che quanto sto per scrivere risulta perfettamente inutile, una mera esercitazione, dal momento che la politica – come la storia – non si fa con i “se” e con i “ma”.

Ciò non toglie che uno possa lo stesso divertirsi, o magari prendersi una minuscola rivincita politico-intellettuale, e sostenere – senza che nessun possa smentirlo, col rischio anzi che gli si debba dar ragione sul filo del buon senso – che se Renzi avesse vinto, e Bersani avesse perso, Berlusconi non sarebbe riemerso dalle catacombe, Monti non si sarebbe candidato e la Vezzali avrebbe continuato a fare la schermitrice, Fini sarebbe definitivamente scomparso dalla scena, alla notizia della candidatura di Ingroia ci saremmo fatti tutti una bella risata, Grillo si sarebbe trovato al 5% dei consensi, la Lega di Maroni non sarebbe tornata a ricattare la destra (e l’Italia) con le sue ubbie secessioniste, Tremonti non sarebbe ricomparso sugli schermi con la sua faccetta antipatica e saccente, ecc. ecc.

Insomma, sarebbe stata un’altra partita, se il sindaco di Firenze avesse assunto lui la guida delle truppe di sinistra in vista della elezioni. Tutti gli altri – a valanga – si sarebbero dovuti attrezzare, e di gran corsa, nella scelta degli uomini e del personale politico. Altro che la parvenza di rinnovamento cui abbiamo assistito in queste settimane! Hai voglia a mettere facce nuove (ad esempio nel Pd) se poi le idee dei quarantenni bersaniani sono antidiluviane. Hai voglia a invocare la società civile (nel caso di Monti) se poi ti trovi a dipendere dalle alchimie e dalle furbate tattiche di due vecchi marpioni della politica. Hai voglia a promettere volti nuovi (nel caso del Pdl) se poi il problema è quello di trovare un posto ai soliti impresentabili alle prese con inchieste e processi.

Per non dire poi delle assurde geometrie pre- e post-elettorali che la vittoria di Renzi ci avrebbe risparmiato. Con quest’ultimo si sarebbe riproposto una schema sanamente bipolare: destra da una parte, sinistra dall’altra. E quest’ultima si sarebbe mossa in una logica sanamente maggioritaria, andando a pescarsi i voti anche oltre i suoi confini naturali. Accade invece che la sinistra di Bersani (quella uscita vincente dalle primarie grazie alla forza degli apparati), se da un lato ha riproposto con orgoglio le sue antiche radici ideologiche, dall’altro si è data come orizzonte ultimo quello di stringere un accordo di governo – quale che sia il risultato delle urne – con il centro di Monti. La formula è quella dell’intesa tra “progressisti” e “moderati”, che sembra tanto una versione in sedicesimo del vecchio compromesso storico, senza però che ci siano più grandi forze di massa capaci di rappresentare la maggioranza assoluta del Paesae, com’era il caso del Pci e della Dc. Ma non basta, questa stessa sinistra che guarda strategicamente al centro (nella convinzione, evidentemente, di non avere sufficiente forza politica, al di là della eventuale forza parlamentare, per guidare un Paese complicato come l’Italia), ha scoperto strada facendo di dover fare conti che già si annunciano assai salati non solo e non tanto con la sinistra ecologista-libertaria di Vendola, ma con la sinistra manettara, giustizialista e barricadiera che nel frattempo si è aggregata nel cosiddetto “partito dei giudici”.

Insomma, la sinistra si allea col centro essendo comunque alleata di una sinistra radicale che col centro non vuole stare. Mentre dall’altra parte, per completare il quadro, abbiamo una destra (quella leghista) che è tornata ad allearsi ma solo per convenienza con la destra berlusconiana, la quale dal canto suo punta a sconfiggere il centro (con l’aiuto momentaneo della Lega) più di quanto non intenda sconfiggere la sinistra per poi tentare con quest’ultima un accordo di spartizione grazie al quale Berlusconi conta di finire al Quirinale. Insomma, che casino! E quante inutili complicazioni tattiche!

Ma con Renzi candidato premier sarebbero stati diversi anche il clima della campagna elettorale, i toni e i contenuti di quest’ultima. Ci saremmo risparmiati le comparsate televisive, al limite dell’overdose, del Cavaliere, le sue bugie seriali e i suoi numeri da avanspettacolo. Ma ci saremmo risparmiati anche Bersani che prima fa quello di sinistra e promette (o minaccia) la patrimoniale, poi si accorge che così si perdono le elezioni e fa mestamente marcia indietro, senza farci capire (sino ad oggi) che cosa voglia davvero. Ma ci saremmo risparmiati, ancora, il povero Vendola che pur di apparire tranquillizzante agli occhi degli elettori arriva a dire che nell’agenda del governo a venire non chiederà che si discuta e si decida sui matrimoni e le adozioni gay. E dunque ci si chiede che cosa ci stia a fare Vendola in politica, visto che non sono certo le sue ricette economiche quelle che un futuro governo guidato da Bersani potrà prendersi il lusso di attuare (l’Europa, come sanno anche i sassi, non lo permetterebbe).

Se Renzi avesse vinto invece di stare qui a parlare, ogni giorno, di Ruby Rubacuori e dei processi del Cavaliere, del pericolo del comunismo, del pericolo del populismo, del pericolo della tecnocrazia, di quanto la televisione condizioni gli elettori o di quanto la Merkel influenzi la nostra economia, forse avremmo parlato di programmi, proposte e ricette, insomma di cose concrete, sulla base delle quali decidere responsabilmente chi votare, invece di votare ancora una volta “contro” qualcuno.

Ma non è andata così. Il Pd non ha avuto il coraggio di cambiare, ha vissuto la sfida di Renzi come una minaccia e una provocazione. Il suo vertice si è chiuso a riccio, avendo nel frattempo maturato il convincimento che la vittoria alle urne fosse cosa fatta. Si è dato Berlusconi per morto, si è evitato di modificare la legge elettorale (quanto faceva comodo incassare un cospicuo premio di maggioranza!), si è umiliata la componente renziana e liberal-riformista oltre ogni accettabile limite al momento di fare le liste e adesso eccoci qui. Con Bersani e il Pd che cominciano ad avere paura e che vedono materializzarsi dinnanzi a loro il fantasma del povero Occhetto e della sua “macchina da guerra” all’epoca giocosa e perdente, e che dunque tentano goffamente di reclutare Renzi perché ci metta la faccia durante la campagna elettorale; con il Cavaliere che recupera consensi e che si diverte come un pazzo all’idea di vendicarsi di chi l’aveva dato per spacciato; con Monti che doveva spaccare il mondo e che invece dovrà accontentarsi, se gli andrà bene, di fare da stampella alla sinistra (e forse non farà nemmeno il ministro, figuriamoci il Capo dello Stato); con la Lega che insegue il miraggio della macroregione del Nord grazie al patto scellerato che ha sottoscritto con il Cavaliere; con Grillo che minaccia a sua volta sfracelli una volta entrato in Parlamento con i suoi volenterosi Signor Nessuno.

E tutto questo sapendo che si giocherà una partita il cui risultato in realtà è già stato scritto. Sapendo cioè che al Senato finirà con il famigerato pareggio e che dunque nascerà un governo politicamente zoppo o comunque fragile, frutto di un accordo tra sinistra e centro che ad andare bene reggerà un paio d’anni, con un’opposizione che sarà composta da berlusconiani, leghisti, grillini e ingroiani (tutta gente, come è noto, misurata e composta).

Poteva dunque essere un altro film, se Renzi ce l’avesse fatta. Dobbiamo sorbirci, per nostra sfortuna, la replica di un film già visto e nemmeno tanto divertente.

 

Commenti (4)

Commenti disabilitati per questo articolo

Commenti disabilitati per questo articolo