di Alessandro Campi
Una gran brutta storia. La Fondazione Feltrinelli, all’interno di un ciclo d’incontri sul tema “What is Left / What is Right”, aveva invitato a parlare il capofila della “nouvelle droite” Alain de Benoist, filosofo e saggista, e l’europarlamentare Florian Philippot, già responsabile della campagna presidenziale del 2012 di Marine Le Pen, con la quale ha poi rotto per fondare un suo raggruppamento politico. Appresa la notizia dell’incontro, un gruppo di ricercatori europei esperti – a loro dire – in estrema destra, populismo e fascismo (nessun si offenda, ma dalla fama e autorevolezza scientifica piuttosto lasca) ha lanciato una petizione on line per chiedere alla Fondazione di ritirare l’invito e di annullare l’incontro. Cosa che l’istituzione milanese che come presidente onorario ha il filosofo Salvatore Veca (viva il pensiero liberale! viva il pluralismo delle idee!) ha prontamente fatto revocando, senza peraltro dare alcuna spiegazione ufficiale per la sua decisione, la conferenza di de Benoist prevista per il prossimo 13 febbraio.
La petizione – che si può facilmente trovare in rete – è scritta nel linguaggio ‘politicamente corretto’ oggi d’obbligo nei campus e negli ambienti che si considerano intellettualmente à la page: “siamo studiose e studiosi… siamo sorprese e sorpresi… non possiamo che essere indignate e indignati”: scelte lessicali che già avrebbero dovuto suggerire di cestinarla. Ma ciò che più colpisce, oltre lo stile pedante e convenzionale, minaccioso e inquisitorio, è la banalità degli argomenti addotti, non esenti da palesi falsificazioni. E la contraddizione insanabile che attraversa l’intero documento.
Innanzitutto, si mette sullo stesso piano un attivista politico come Philippot con un intellettuale puro (nello stile francese) quale de Benoist è da decenni, peraltro da sempre in polemica con il lepenismo di cui lo si accusa di essere un sostenitore politico. Gli si attribuiscono poi posizioni che semplicemente non sono le sue: l’essere ad esempio il teorico del “nativismo”, cioè di una visione, come dicono gli estensori dell’appello, omogenea ed escludente della comunità nazionale. Chi abbia anche solo sfogliato i testi di de Benoist in realtà dovrebbe sapere che è un teorico semmai del differenzialismo culturalista (liquidato come razzismo dai nostri frettolosi inquisitori) e un aspro critico dell’ideologia nazionalista.
Ma ciò che soprattutto fa sorridere è che ci si erga a difensori del pluralismo e della democrazia mentre nei fatti si negano l’uno e l’altra. Si punta a difendere la libertà politica mettendo la sordina alla libertà di pensiero: che grossolano cortocircuito! Strana pretesa poi quella per cui della destra, comunque intesa, non debbano parlare in pubblico coloro che ne sono i rappresentanti sul piano dottrinario e politico, ma coloro che la studiano con lo sguardo dell’entomologo. Come se il filtro della scienza, peraltro in questo caso fortemente inquinato dall’ideologia e dal pregiudizio, ci aiutasse a meglio comprendere la storia e politica. Ѐ l’errore di prospettiva tipico degli universitari, che scambiano i paper che presentano nei panel dei loro international congress – rigorosamente in lingua inglese e nell’attesa di trasferire il prodotto della loro ricerca in un articolo che nessuno leggerà mai da pubblicare su qualche rivista beninteso di Fascia A – con il mondo reale e con la vita vera.
In realtà stiamo parlando di censura pura e semplice motivata da ragioni politiche. Tra i firmatari dell’appello che con i suoi richiami alla vigilanza antifascista ha tanto intimorito i vertici della Fondazione Feltrinelli c’è anche Nicoletta Bourbaki: non una persona fisica ma un collettivo militante da tempo impegnato nella lotta contro il revisionismo storiografico. L’ultima sua missione, dimostrare come le foibe siano un mito propagandistico d’estrema destra, che non vale la giornata ufficiale di commemorazione che lo Stato italiano ha dedicato a quell’evento.
Alla Fondazione Feltrinelli sarebbe bastato questo particolare – oltre ad una scorsa rapida al curriculum di molti dei firmatari – per capire che la denuncia e l’allarme non provenivano dalla comunità scientifica o dal mondo accademico, ma da una rete di attivisti e militanti che come preoccupazione principale sembrano avere di mettere al bando chi non condivide la loro visione – essa sì omogenea ed escludente – della democrazia e della politica.
Naturalmente, si tratta di posizioni e atteggiamenti che vengono da lontano, dei quali nemmeno ci si può stupire. Chi abbia qualche anno sulle spalle ricorderà che nel passato anche recente di petizioni antifasciste, messe al bando ideologiche, censure, campagne allarmistiche e liste di proscrizione in Italia ne abbiamo già sperimentate. Ѐ un vecchio vizio della sinistra estrema quello di chiudere la bocca al prossimo con la scusa di battersi per una nobile causa. Con la differenza che tra i poliziotti del pensiero degli anni Settanta, quelli dell’antifascismo militante, c’erano personalità del calibro di Umberto Eco (che Dio lo perdoni per alcune delle cose scritte all’epoca…). Oggi i nuovi inquisitori sono – cito a caso – Martina Avanza (che si occupa di gender studies in prospettiva etnografica a Losanna), Pietro Castelli Gattinara (suo un recente libro su Casa Pound), Maddalena Gretel Cammelli (assegnista bolognese studiosa del “millenial fascism”, qualunque cosa voglia dire), Sara Garbagnoli (autrice del certamente fondamentale “Against the Heresy of Immanence: Vatican’s ‘Gender’ as a New Rhetorical Device Against the Denaturalization of the Sexual Order”), Massimo Prearo (che si interessa di costruzione sociale della sessualità e di movimenti LGBTQI) e Giovanni Savino (insegnante di italiano in Russia). A quanto pare, gli studiosi effettivi di destra e di fascismo sono pochissimi tra i firmatari.
C’è solo da sperare che crescendo e rafforzandosi accademicamente tutti costoro capiscano che lo spirito della ricerca scientifica, dietro il quale goffamente si sono nascosti, è inconciliabile con qualunque forma di intolleranza o censura ideologica. Anche perché quest’ultima al dunque non serve a nulla ed è persino controproducente. Nella peggiore delle ipotesi, infatti, crea un’aura sulfurea e un alone di interesse maledetto intorno a chi ne è vittima. Nella migliore, spinge le intelligenze non votate all’ammasso alla curiosità verso le idee che si vorrebbe invece non avessero cittadinanza. Il che significa che de Benoist non parlerà nella sede (non mi riesce in quest’occasione di scrivere né prestigiosa né autorevole, avendo dimostrato una simile ignavia civico-intellettuale) della Fondazione Feltrinelli, ma le sue idee e riflessioni continueranno, per fortuna, a circolare liberamente e pubblicamente. E libero ognuno di noi di condividerle o di criticarle, perché è questa la democrazia pluralista, non la caricatura che si vorrebbe offrirne col pretesto di difenderla dai suoi nemici immaginari.
PS. Avviso i nostri solerti censori che sulla pagina dedicata da Wikipedia al lepenista Philippot le sue posizioni politiche vengono riassunte con due termini: “progressismo”, “laicismo” (forse perché, pur avendo militato col Front National, è un gay dichiarato). Urge pubblica petizione per correggere questo grave insulto alla nostra coscienza democratica.
* Articolo apparso su “Il Mattino” di Napoli del 7 febbraio 2018.
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