di Francesca Varasano

crimeaL’attuale crisi ucraina ha portato Kiev al centro dell’attenzione mondiale, la città è assurta a fulcro dell’azione diplomatica globale. Mosca, Washington e Bruxelles sono certo gli attori principali che al momento si fronteggiano nello scacchiere europeo orientale, ma gli sviluppi degli eventi ucraini e della politica estera della presidenza Putin sono seguiti con vivo interesse ed apprensione anche nei paesi dell’ex zona di influenza sovietica, i cui rapporti con la Russia potrebbero ridisegnarsi alla luce degli avventimenti correnti.

Come è noto, le proteste di piazza Maidan – o dell’Indipendenza, nel cuore di Kiev – sono esplose in novembre in relazione alla improvvisa decisione del governo ucraino di non firmare l’accordo di associazione con l’Unione Europea, un trattato che includeva l’apertura al libero commercio ed aveva scatenato il disappunto del Cremlino in relazione ai piani di un’Unione Doganale regionale a leadership russa. Al tempo stesso, l’Unione Europea vagliava l’ipotesi di una riforma del regime di visti dall’Ucraina per i paesi Schengen. L’instabilità politica causata dalle manifestazioni ha costretto a dimissioni anticipate il presidente Viktor Janukovič, già tacciato di corruzione così come l’esponente dell’opposizione Julia Timoshenko. All’espatrio di Janukovič in Russia è seguito l’insediamento di un governo provvisorio in vista delle elezioni del prossimo 25 maggio ed un crescendo di azioni russe fino all’occupazione, referendum ed annessione della Crimea invocando la difesa degli interessi della locale popolazione di etnia russa. Le elezioni di maggio saranno indubbiamente un momento importante per il futuro assetto dell’Ucraina: l’OSCE ha richiesto la partecipazione di 900 osservatori; nel frattempo, per mano di Arsenij Jatsenjuk – primo ministro ad interim – il paese ha firmato i capitoli politici dell’accordo di associazione con l’UE, rimandando però la firma della più importante parte commerciale.

Se l’Unione Europea tenta di riprendere, seppur con cautela, il dialogo sulla convergenza politica con l’Ucraina, i paesi membri si mostrano restii all’applicazione di un piano rigoroso di sanzioni economiche nei confronti di un paese, la Federazione Russa, che è soprattutto un partner commerciale di primo piano, generoso negli investimenti esteri e indispensabile per il contributo di forniture energetiche.

Gli avvenimenti ucraini sembrano inoltre contribuire a consolidare presso parte dell’opinione pubblica europea un’infatuazione per Vladimir Putin, uomo forte e dinamico della politica mondiale contemporanea, eroe del nostro tempo e non più di quello di Lermontov – una manifestazione comprensibile anche alla luce dell’euroscetticismo scaturito dalla crisi economica ed inasprito dall’affermazione di un emergente populismo in chiave anti-europea.

Il sentimento di prossimità che lega la Russia alla Crimea trova riscontro nella memoria collettiva russa che ricorda la penisola come località di villeggiatura, eco culturale nelle pagine di Tolstoj che qui aveva combattuto nel 1855. L’intelligencjia russa contemporanea ha espresso invece preoccupazione per gli eventi ucraini: scrittori, artisti ed intellettuali hanno firmato una lettera aperta contro una possibile guerra ad un paese legato da legami fraterni. La lettera è stata pubblicata dal centro PEN di Mosca, organizzazione che promuove la libertà di espressione; fra i firmatari figura Ludmila Ulitskaja, scrittrice di fama tradotta e pubblicata anche in Europa.

Gli avvenimenti di piazza Maidan non hanno che risvegliato il contrasto mai sopito fra le due anime principali dell’Ucraina: quella orientale, che guarda alla Russia, e quella occidentale, che aspira all’Europa. Sentimenti non nitidi geograficamente ma radicati, una dicotomia senza soluzione all’infuori di quella che appare ora una solo precaria convivenza.

Nella parte occidentale del paese è diffusa la Chiesa uniate ucraina – di rito ortodosso ma facente capo alla Chiesa cattolica romana, riconoscendo il primato papale; ad oriente, il credo predominante è cristiano-ortodosso, vicino al patriarcato di Mosca. L’islam è diffuso prevalentemente presso la popolazione tatara, stanziata anche in Crimea.

Dal Québec alla Catalogna, dal nord Africa al Tirolo e al Caucaso, l’uso della lingua è legato in modo inestricabile alle passioni nazionali. La scelta del linguaggio ha spesso valenza politica, ancor di più quando due popoli di diversa lingua condividono un territorio: inviando truppe in Crimea, il governo russo ha citato in modo significativo la protezione della popolazione di lingua russa. Entrambe lingue slave, l’ucraino condivide con il russo una variante dell’alfabeto cirillico, impreziosita fra l’altro da alcune vocali (ben dieci vocali e due semivocali sono usate in ucraino: quattro riconducibili alla “i” latina, suono frequente e caratteristico della lingua). “Tu dici Kiev, io dico Kyiv”, titolava un recente articolo di un simpatizzante del movimento di piazza Maidan: la scelta della grafia russa (Kiev) o ucraina (Kyiv) davvero sembra assurgere a decisione politica se in seguito alla crisi politica anche negli Stati Uniti si diffonde lo spelling Kyiv, già da tempo adottato dall’Unione Europea.

Ci hanno insegnato che la grammatica è importante, e lo è ancor di più quando il legame con la definizione della nostra identità è immediato – in russo, il complemento di moto a luogo si esprime generalmente con una preposizione seguita dall’accusativo. La preposizione varia a seconda della natura del luogo: eccezione vuole che ad accompagnare l’Ucraina non sia la preposizione generalmente usata per gli stati, ma per le regioni. Alle orecchie di un linguista attento, quasi un monito dell’antico “granaio di Russia”.

Molti paesi dell’ex sfera di influenza sovietica condividono con la Russia legami linguistici, religiosi e culturali non dissimili da quelli ucraini. L’invasione della Crimea a difesa della popolazione russofona non può che mettere in allarme altri paesi nella regione con significative minoranze russe.

Fra i paesi baltici, è nota l’apprensione dell’Estonia per la politica estera di Mosca, nonchè l’alta percentuale di apolidi russofoni che qui risiede. Nel 2007, il solo tentativo di rimozione e seguente spostamento del soldato di bronzo o monumento al soldato dell’Armata Rossa a Tallinn causò uno dei tumulti più intensi della società estone contemporanea; la tensione politica e sociale fra russofoni ed estoni è pressochè costante.

Nel Caucaso, la Georgia non può sottovalutare gli avvenimenti ucraini, memore della recente guerra del 2008: il Presidente Giorgi Margvelashvili ha sottolineato chiaramente le preoccupazioni per la stabilità regionale, oltre che per il disarmo e la sicurezza globale. È ragionevole pensare che l’apparato politico georgiano stia nel frattempo cercando rassicurazioni dall’alleato americano, e che non sia l’unico paese nella regione a farlo.

La Bielorussia ed il Kazakistan, due fra gli alleati più affidabili della Russia contemporanea, il cui significato strategico va al di là delle relazioni bilaterali, hanno adottato una strategia molto cauta sulla crisi ucraina. Nè il presidente kazako Nazarbaev nè quello bielorusso Lukashenko hanno espresso sostegno per le azioni russe in Ucraina; il BielorusDigest, pubblicazione bielorussa in lingua inglese, ha riportato un’intervista a Lukashenko, che ha sottolineato come “l’Ucraina debba rimanere unita. Nessuno dovrebbe dividere questo grande paese”, ripetendo questa tesi in una conversazione telefonica con l’ex presidente ucraino Leonid Kučma.

Non è un mistero che uno dei progetti della presidenza Putin sia consentire alla Federazione Russa un ruolo di primo piano non solo economico ma geopolitico, rinnovandone l’identità di potenza regionale per rilanciarla a superpotenza: proprio in questo programma, l’amministrazione russa attribuisce importanza alla sopra citata Unione Doganale Regionale di cui fanno parte appunto Russia, Bielorussia e Kazakistan. L’Ucraina gode dello status di osservatore ed ha avuto un atteggiamento ambivalente fino al tentativo di firma dell’accordo di associazione con l’UE che avrebbe provocato un inevitabile allontanamento dall’Unione Doganale russa.

Lo scorso 5 marzo si è tenuta a Minsk la riunione dell’Unione Doganale: l’Ucraina e la Crimea non sono state oggetto di discussione, che si è significamente incentrata sulle concessioni in materia di dazi e tariffe doganali richieste dalla Bielorussia e dal Kazakistan. Come per l’Ucraina, l’integrità territoriale e l’indipendenza politica dei due paesi è oggetto del memorandum di Budapest del 1994, che oggi sembra venir messo in discussione.

Le azioni militari russe in Crimea non possono che essere fonte di preoccupazione nelle capitali di stati nati dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica; il principio della difesa della popolazione russofona è un precedente estremamente pericoloso per governanti di paesi il cui censo registra alte percentuali di residenti di etnia russa.

“Non con la ragione si comprende la Russia”, recita una celeberrima quartina del poeta e diplomatico russo Fjodor Tjutchev “… alla Russia si può soltanto credere”. Alcuni anni fa, con un lapsus interessante, Putin concluse: “alla Russia si deve soltanto credere”. Che i paesi dell’Asia centrale e dell’Europa orientale, vicini alla cultura, ai costumi, alla politica russa, decidano di credere nella Russia di Putin è però tutt’altro che scontato.

 

Commento (1)

  • Andrew Carey
    Andrew Carey
    Rispondi

    A fascinating take on the recent developments in Ukraine. It will certainly be a very interesting couple of months for the region and I look forward to hearing more about Signorina Varasano’s viewpoints on all future developments.

Lascia un commento

Your email address will not be published. Required fields are marked (required)