di Alessandro Campi

Davide-Casaleggio-M5S-Beppe-Grillo-770x456Chi vota per il M5S? La vulgata pubblicistica sul populismo vuole che a esprimere consenso per un partito-movimento come quello fondato da Grillo sia un elettore mosso essenzialmente dalla rabbia, dalla frustrazione e dalla voglia di sfasciare tutto. Il voto ai grillini avrebbe dunque a che fare con un sentimento sociale che oscilla tra il disgusto nei confronti della sfera politica tradizionale (e i suoi attori) e il senso di vendetta o rivincita. Parliamo dunque di istinti elementari, di uno stato d’animo febbrile che Grillo, grazie alle sue invettive e al suo stile apocalittico, ha avuto il merito di intercettare e di trasformare in un’onda d’urto che ha già profondamente alterato i vecchi equilibri della politica italiana.

Ma fermarsi a quest’aspetto rischia di non rendere ragione del complesso di cause e fattori che sono alla base del successo del M5S e della sua capacità a mantenere alti i propri consensi anche a fronte delle continue crisi interne (da ultimo il caso Genova) e delle prove di governo non proprio esaltanti che esso ha sin qui offerto in alcuni contesti (a partire dal caso eclatante di Roma). Il M5S, in altre parole, non può essere considerato soltanto il bacino di raccolta del voto di protesta o il rappresentante politico degli italiani che hanno smesso di riconoscersi nelle vecchie sigle politiche e che si sono rivoltate contro ciò che viene definito il Sistema. La nascita e la rapida affermazione di un simile partito forse debbono essere considerate il segno di cambiamenti profondi negli equilibri della società italiana (e nella mentalità degli italiani) dei quali ancora non si è presa adeguata coscienza.

Da questo punto di vista appare particolarmente interessante il recente sondaggio realizzato da Ilvo Diamanti e dedicato al profilo socio-demografico degli elettori che si riconoscono nel M5S. La cosa che all’apparenza più colpisce (come anche risulta dal titolo scelto da “Repubblica” per presentare i risultati dell’indagine) è il carattere ideologicamente trasversale di tali elettori. Anzi, per meglio dire, ideologicamente evanescente. Se è vero infatti che per i grillini votano sia i delusi della destra che quelli della destra, è anche vero che il grosso dei simpatizzanti e seguaci semplicemente ha smesso di utilizzare l’asse destra-sinistra come strumento valido per orientarsi all’interno dello spazio politico e per auto-definirsi dal punto di vista delle preferenze.

Quasi il cinquanta per cento degli intervistati considera la distinzione destra-sinistra, sulla quale si è costruita la lotta politica a partire dalla Rivoluzione francese, come qualcosa di superato o di poco caratterizzante in una fase della storia nella quale le tradizionali ideologie novecentesche sono sparite dalla scena o entrare profondamente in crisi. Non essendo né di destra né di sinistra, il M5S finisce per essere paradossalmente un partito-movimento di centro: non in senso culturale o ideologico, ma in un senso più propriamente politico: nel senso che riesce a catturare consensi e simpatie provenienti da ogni direzione, sino a poterlo paragonare proprio in virtù di tale eclettismo ad una sorta di nuova Democrazia cristiana.

Ma a leggere con attenzione la ricerca di Diamanti la cosa che più colpisce è in effetti un’altra. Il M5S raccoglie la gran parte dei suoi consensi attuali nelle fasce d’età 18-29 e 30-44. E ha una capacità attrattiva molto maggiore dei suoi competitori nelle categorie socio-professionali che in senso lato hanno a che fare col mondo del lavoro: dagli operai ai lavoratori autonomi, dai piccoli imprenditori ai tecnici e funzionari (in particolare quelli che operano nel settore privato). Se si guarda agli elettori, rispettivamente, del Partito democratico e di Forza Italia colpisce come entrambi riscuotano invece il consenso maggioritario dei pensionati e delle casalinghe, in percentuali molto superiori a quelle di tutti gli altri partiti.

Se l’asse destra/sinistra è entrata radicalmente in crisi, il suo posto sembra essere stato preso, almeno nel caso italiano, da quello innovazione/conservazione. I gruppi sociali in senso lato dinamici, aperti al cambiamento e rivolti culturalmente al futuro sembrano quelli particolarmente attratti dal M5S, evidentemente accreditato come una forza politica che dell’innovazione (per quanto declinata con contorni spesso vaghi) ha fatto il suo cavallo di battaglia. I gruppi sociali più orientati dalla difesa dello status quo, meno disposti alle sfide o meno coinvolti nelle dinamiche lavorative e professionali sembrano invece diventati lo zoccolo duro dei partiti più direttamente in competizione con il movimento grillino.

Dietro Grillo non c’è dunque solo un sentimento generico di protesta. Sembrano esserci pezzi della società italiana che certamente sono arrabbiati con lo Stato, con la burocrazia e con i “politici di professione”, ma che a loro volta esprimono istanze di modernizzazione, di cambiamento, di crescita razionalmente motivate e non liquidabili come un semplice moto di rivolta populista. I ceti libero-professionali che un tempo hanno fatto la fortuna di Berlusconi oggi guardano a Grillo. Lo stesso vale per i lavoratori autonomi e gli imprenditori medio-piccoli. Così come gli operai, che un tempo avevano nella sinistra il proprio riferimento politico-simbolico, anch’essi oggi in maggioranza – secondo il sondaggio – esprimono simpatia per il M5S.

La conferma che la nuova linea di distinzione politica sembra essere diventata quella innovazione/conservazione (o, se si vuole, dinamismo/staticità) è infine data dall’adesione molto alta al grillismo espressa dagli studenti e dai giovani: coloro che per definizione hanno lo sguardo proiettato al futuro.

Stando così le cose limitarsi a denunciare il M5S alla stregua di una pericolosa variante del populismo, tanto vituperato a livello ufficiale, rischia di essere una clamorosa perdita di tempo e un grossolano errore politico. In Italia, come nel resto del mondo, si è verificata negli ultimi anni una rivoluzione mentale silenziosa, che non ha a che fare solo con la fine delle vecchie appartenenze ideologiche, che in effetti nessuno sembra più rimpiangere, ma con i cambiamenti che la tecnologia ha introdotto nella nostra sfera vitale, nel nostro modo di pensare, sino a modificare le nostre aspettative di vita, la nostra visione della realtà e forse persino le nostre categorie cognitive. Se il M5S, come sembra, è l’unica forza politica che ha cercato di misurarsi con questa rivoluzione e di intercettarla sul piano culturale e del linguaggio, ecco allora spiegato il segreto della sua forza crescente.

 

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