di Alessandro Campi

Mi sbaglierò – tanto non ci sarà nessuno a rimproverarmi dopo il voto, perché in Italia tutto si dimentica e con grande fretta – ma dalle urne potrebbero uscire alcune sorprese o comunque risultati diversi da quelli che si sono letti in queste settimane nei sondaggi.

A proposito dei quali va ricordato che da ieri – per legge – sono ufficialmente vietati: ovvero, si possono fare (e i partiti continueranno a commissionarli), ma non si possono divulgare ufficialmente, pena sanzioni. Dovremo accontentarci del passaparola e di ciò che diranno gli stessi politici (e dunque preparatavi al Cavaliere che entro una settimana annuncia il sorpasso sulla sinistra).

Ma poco male, questo blocco dei sondaggi, dal momento che la maggior parte di loro – secondo il mio parere – o sono artefatti ad uso del committente o sono tecnicamente errati. Non si spiegano altrimenti i risultati troppo difformi che essi presentano per alcuni partiti. E non si tratta solo del cosiddetto margine statistico d’incertezza. Se il partito A viene dato da un istituto di ricerca all’11% e da un altro al 18% c’è chiaramente qualcosa che non quadra. Ed è dunque legittimo il sospetto, avanzato da non pochi studiosi, che i sondaggi non servano a fotografare la realtà, come solitamente si dice, ma a condizionare e a orientare, per quanto possibile, le scelte degli elettori: se il partito A è dato per vincente sicuro dalla demoscopia state tranquilli che non saranno pochi i votanti disposti ad accodarsi; e lo stesso vale – al contrario – per un partito dato per sicuro perdente o lontano dal quorum fissato dalle legge elettorale per ottenere seggi.

Aggiungo, sempre a proposito di sondaggi da prendere con le molle, che io personalmente nella mia vita non ho mai conosciuto – tra gli amici e tra gli amici degli amici degli amici – nessuno che faccia parte di uno di questi benedetti campioni (800-1000 persone se va bene) ai quali i sondaggisti si rivolgono, dopo averli selezionati in modo che siano rappresentativi della popolazione italiana, per porre le loro domande. Va bene che siamo sessanta milioni, e dunque ci può stare che nessuno mi abbia mai chiamato per chiedere la mia opinione (stranamente mi chiamano sempre per vendermi qualcosa), ma non sarà che noi prendiamo per oro colato quello che rispondono al telefono – mentre si fanno la barba o guidano l’auto o portano a spasso il cane – cinque-seimila italiani ingaggiati a vita dalle società di marketing? Debbo ricordarmi di chiedere a qualche collega che insegna statistica come funziona per davvero il mercato dei sondaggi e delle interviste a campione.Ma torniamo a bomba. La legge è legge e dunque niente sondaggi (pubblici) sino al voto. Impossibilitati a conoscere e utilizzare numeri cifre e percentuali, per le prossime due settimane dovremo utilizzare il nostro naso. Il mio, sebbene prostrato da un raffreddore durato settimane, mi dice quattro, anzi cinque, cose.

La prima è che la lista Monti, dopo gli entusiasmi iniziali e la delusione seguita alla presentazione delle liste (dove sono i grandi nomi della società civile che erano stati evocati e promessi?), potrebbe seriamente trovarsi quarta in classifica dietro Grillo. E certo sarebbe un bel problema per il Professore risultare meno votato (e meno gradito) del Comico: altro che fare l’ago della bilancia del futuro governo! Monti, dopo un inizio stentato, ce la sta mettendo tutta per fare il simpatico e presentarsi con un volto normalmente accettabile. Consigliato dal guru di Obama (chissà quanto gli è costato?), si è fatto riprendere mentre giocava con i nipotini e mentre carezzava un cane (a quando una foto mentre fa ginnastica?). Ma sarà dura far dimenticare le tasse imposte agli italiani dal suo governo. E sarà dura, con Fini e Casini al rimorchio, convincere gli elettori che la sua lista è una novità rivoluzionaria per l’Italia.

La seconda è che il vero outsider di questa campagna elettorale (e forse la novità più interessante, comunque vada a finire) è Oscar Giannino: più di Grillo, che comunque otterrà una buona affermazione. Giannino veste da cane (secondo il mio metro estetico), spesso risulta spocchioso, si mangia le parole quando parla, ma almeno sta facendo una coraggiosa battaglia da liberale autentico, con argomenti economicamente seri e rigorosi, con uno stile fresco e spigliato, diretto e sincero, che non a caso gli sta attirando la simpatia di tantissimi giovani e lo sta facendo crescere nei consensi (ci sarà un motivo se Berlusconi lo attacca tutti i giorni?). In prospettiva, poi, vista la fine miserrima che ha fatto la destra italiana autentica, spaccatasi in quattro inutili tronconi, Giannino potrebbe rappresentare – soprattutto se dovesse riuscire a entrare in Parlamento – il punto di coagulo, o il punto di partenza, di quella destra “normale” – liberale, riformista, laica – tante volte invocata nel passato. Ragione di più per seguire con attenzione il suo percorso.

La terza è che Rivoluzione civile non raggiungerà il quorum né alla Camera né al Senato. E ben gli sta a Ingroia e a quelli che attraverso lui – parlo di Di Pietro, Diliberto e compagnia – hanno pensato di rientrare in Parlamento in barba al loro misero consenso nel Paese. Penso che a sinistra, con Berlusconi dato come rimontante e tenuto conto della “sindrome di Occhetto”, alla fine prevarrà il cosiddetto “voto utile”. E dunque in molti preferiranno votare per la coalizione che comprende Bersani e Vendola piuttosto che per il Partito della Virtù e dell’Onestà. Aggiungo che se è vero che questo Paese dovrebbe superare l’anomalia rappresentata da Berlusconi, non si capisce per quale ragione gli italiani dovrebbero favorire l’affermazione di una anomalia speculare e forse ancora più grande quale quella rappresentata dal PPM (Partito dei Pubblici Ministeri).

La quarta è che gli indecisi (che sono ancora un esercito) non è detto che alla fine si decidano, per questo o per quello, ma sempre per qualcuno. Chi pensa – ad esempio Berlusconi – di convincerli a votare attraverso promesse roboanti e fuochi d’artificio propagandistici rischia di sbagliare i conti. Chi sino ad oggi si è rifugiato nell’astensione, lo ha fatto perché nauseato dalla politica e dai suoi protagonisti, perché non si fida dei partiti e delle loro parole. Senza argomenti razionalmente convincenti, soprattutto in materia di lavoro e sviluppo, nel mentre infuriano continui scandali (da ultimo le ruberie e la finanza allegra del Monte dei Paschi), per quale ragione gli indecisi dovrebbe cambiare idea all’ultimo momento? E dunque stavolta credo che saranno in molti – rispetto al passato – a disertare le urne e a optare per la scheda bianca o nulla. Sarà anche questa una forma di protesta, forse la più civile di tutte.

La quinta, infine, è che la cavalcata trionfale del Cavaliere (sulla falsariga del recupero elettorale che realizzò nel 2006) è solo nella sua testa. Rispetto ai minimi storici (persino imbarazzanti) che aveva raggiunto, il Pdl ha sicuramente riguadagnato terreno. Ma l’ipotesi del sorpasso è solo una forma di illusionismo, coltivata ad arte da un uomo che sa come trasformare le bugie conclamate in verità apparenti. Magari ci sarà il pareggio “tecnico” al Senato, grazie alla balorda legge elettorale che abbiamo, ma che gli italiani tornino a fidarsi in massa di Berlusconi e dei suoi annunci choc è difficile. Va bene che in tempo di crisi ci si affida ai maghi, ma non facciamo gli italiani più disperati di quel che sono.

E con questo è tutto, basandosi sul naso e non più sui sondaggi. Sia chiaro, naturalmente, che se al dunque nessuna di queste previsioni dovesse verificarsi non dipende da me e dalla mia manifesta incompetenza, ma dal raffreddore.

 

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