di Rodolfo Bastianelli*

imagesCANSRBC9Le tensioni emerse in Ucraina con la caduta del presidente Viktor Yanukovich e il referendum con il quale la Crimea ha espresso la sua volontà di diventare autonoma dall’Ucraina per poi riunirsi alla Russia stanno ponendo la comunità internazionale davanti ad una delle crisi più difficili che si siano presentate negli ultimi anni. Se difatti il presidente russo Vladimir Putin non può permettersi di perdere l’Ucraina e vedere limitata la sua influenza vista anche l’importanza strategica e simbolica che il paese riveste per Mosca, dall’altro Washington, ma soprattutto Bruxelles, con le scelte che adotteranno, si giocheranno una parte considerevole della loro credibilità.

Crimea strategica

La situazione più critica si presenta in Crimea. Con la flotta russa del Mar Nero dislocata a Sebastopoli, la quale è stata usata dalle forze navali russe per il pattugliamento del Mar Nero durante il conflitto del 2008 tra Georgia ed Ossezia e per le azioni anti-pirateria nell’Oceano Indiano, la Crimea è per Mosca un luogo strategicamente fondamentale resa ancora più rilevante dal fatto che, per effetto della crisi siriana, il governo russo si è trovato nell’impossibilità di utilizzare il porto di Tartu per le operazioni nel Mediterraneo. Stando all’intesa firmata tra i due paesi nel 2010, Kiev ha concesso a Mosca il diritto di utilizzare l’installazione fino al 2042, unitamente a un’opzione che prevede la possibilità di estendere il periodo per ulteriori cinque anni, in cambio di una riduzione del 30% sul prezzo delle forniture di gas provenienti dalla Russia.

Virata verso Novorossisk?

Come è stato sottolineato in un’analisi recentemente apparsa sul Financial Times, l’eventuale perdita della base di Sebastopoli costringerebbe la Marina russa a ripiegare sul porto di Novorossisk, una località situata sulla costa del Mar Nero che serve già come importante scalo commerciale ma che, sul piano militare, ben difficilmente potrebbe sostituire la base di Sebastopoli come approdo per la flotta.

È in questo contesto che si inserisce la decisione presa dal locale esecutivo filo-russo di indire entro dieci giorni un referendum, subito definito come illegale da Unione europea, Stati Uniti e dallo stesso governo di Kiev, con il quale la penisola dovrebbe dichiarare la sua autonomia dall’Ucraina per poi riunirsi alla Russia. Il timore è che il distacco della Crimea non solo possa creare un pericoloso precedente, ma anche favorire analoghe spinte separatiste nelle regioni orientali del paese in cui le popolazioni russofone costituiscono la maggioranza. Va però detto che ad un’analisi più attenta il quadro si presenta assai più complesso di quanto sembri a prima vista. Stando ai dati del censimento ufficiale del 2001, i russi costituiscono la maggioranza nelle grandi città, ma rimangono invece minoritari quando si considera invece l’intero territorio delle diverse province che risultano abitate in massima parte da ucraini, come appare evidente nel caso degli oblasts che comprendono le città di Kharkhiv e Donetsk.

Un’eventuale secessione sarebbe quindi problematica vista la difficile realizzabilità sul piano territoriale.

Crisi finanze ucraina

La seconda questione riguarda poi lo stato in cui versa l’economia ucraina. L’accordo siglato lo scorso dicembre con la Russia, la cui firma sarà alla base delle violente proteste popolari contro il governo, consentiva a Kiev di ricevere un prestito di 15 miliardi di euro insieme ad un sostanziale ribasso sul prezzo delle forniture di gas, un punto questo estremamente importante vista la forte dipendenza energetica dell’Ucraina da Mosca e l’alto debito della compagnia petrolifera nazionale Naftogaz nei confronti della sua controparte russa. Stando poi a quanto riportato in una nota dalla Bank of America Merril Lynch, l’Ucraina deve rimborsare quest’anno prestiti per 9 miliardi di euro, ai quali si devono aggiungere altri 3,6 miliardi da restituire al Fondo monetario internazionale e 1,5 miliardi di obbligazioni europee in scadenza a giugno. Il quadro che presentano le finanze ucraine è però assai critico, con delle riserve valutarie stimate in appena 17,8 miliardi di dollari, un livello considerato troppo basso dagli osservatori, e con una moneta nazionale, la Grivna, che dall’inizio dell’anno si è fortemente deprezzata. Senza un immediato intervento internazionale di almeno 15 miliardi di dollari il paese potrebbe andare molto presto in default, anche perché Mosca ha ipotizzato il blocco della prima tranche di aiuti finanziari previsti dall’intesa sottoscritta a dicembre.

Divisioni interne

L’ultima questione riguarda lo scenario politico ucraino che appare profondamente diviso. All’interno del movimento che ha guidato la protesta esistono difatti partiti di estrazione filo-europeista come l’Udar di Vitali Klitschko, ma anche formazioni di chiara matrice nazionalista come Svoboda, che alle elezioni legislative dell’ottobre 2012 ottenne un sorprendente 10%, nonché gruppi radicali di estrema destra accusati di azioni violente e tendenze antisemite. Trovare una via d’uscita alla crisi ucraina non appare facile anche perché le opzioni a disposizione appaiono assai limitate. Sul piano economico, delle sanzioni contro la Russia avrebbero un impatto ridotto sugli Stati Uniti, ma assai significativo invece nei confronti dei paesi europei visti i loro legami energetici e commerciali con Mosca, mentre dal lato politico Washington non può spingere su posizioni più dure in quanto la collaborazione con il Cremlino è fondamentale nella gestione di altre situazioni sensibili come quella siriana o del nucleare iraniano.

* Rodolfo Bastianelli è un analista di politica internazionale. Collabora con ‘Rivista Marittima’, ‘Affari Esteri’ e la rivista ‘Informazioni della Difesa’. L’articolo sulla crisi russo-ucraina è apparso su ‘Affari internazionali‘ in data 14 marzo 2014.

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