di Fabio Polese
«Quando scoppia una guerra, la prima vittima è la verità», scriveva nel 1917 l’americano Hiram Johnson, commentando l’entrata degli Stati Uniti nel Primo conflitto mondiale. Giustissimo: certe volte, tuttavia, anche dopo che le armi sono state deposte, la verità continua a essere, per lungo tempo, vittima di occultamenti e reticenze dovute a faziosità. Bugie prefabbricate o bugie involontarie dilagano attraverso i mass media entrando spesso nella Storia. In molti casi non c’è più modo di ristabilire la verità, sia perché, come diceva Goebbels, una bugia ripetuta insistentemente, diventa essa stessa una verità, sia perché solo le bugie inventate dai vinti sono alla fine smascherate. Quelle dei vincitori di solito sopravvivono…
I propagatori di queste menzogne, strumentali o no, sono spesso i politici e alcuni storici, magari perché coinvolti personalmente o condizionati dalla censura, accecati dall’odio di parte o dalla frenesia dello scoop. Certi resoconti, spesso avvincenti o intriganti, incidono sulla memoria collettiva solchi profondi che le successive analisi storiche difficilmente riescono a colmare.
Quando a distanza di anni dagli eventi bellici che l’hanno vista coinvolta, una personalità politica di rilievo rilascia una testimonianza con la quale riconosce certi aspetti positivi del nemico contro il quale ha combattuto, la percezione del nemico stesso cambia e diventa possibile una lettura diversa della storia. È questo il caso delle Camicie nere italiane impegnate tra il 1941 e il 1943 sul fronte russo contro i sovietici. Nel 1961, intervistato dall’onorevole Codacci Pisanelli per la rivista andreottiana Concretezza, Nikita Sergeevič Chruščëv dichiarò: «Tra i soldati italiani contro i quali ho combattuto ammiro soprattutto le Camicie Nere; esse si sono battute eroicamente e mi sono potuto accertare attraverso gli interrogatori che non avevano odio contro il nostro popolo». Ci si potrebbe chiedere se sia stato un revisionista ante litteram il leader sovietico, il quale tra il 1941 e il 1942 ricoprendo la carica di capo del Partito comunista, combatté contro gli uomini della milizia fascista in Ucraina, dove operò la 63ª legione CC.NN. d’assalto «Tagliamento», oggetto oggi di una approfondita indagine da parte di Stefano Fabei, autore di molti saggi storici, il penultimo dei quali è la biografia del generale Niccolo Nicchiarelli che della suddetta unità fu il primo e più importante comandante (Il generale delle Camicie nere, Macchione Editore, Varese, 2013, euro 25).
Corredato da un ampio e in gran parte inedito apparato fotografico, dotato della Presentazione di Franco Cardini, «TAGLIAMENTO» La legione delle Camicie nere in Russia (1941-1943) è il frutto di un’approfondita indagine condotta dallo storico Fabei attingendo alla documentazione depositata presso vari archivi fra cui quello privato del generale Nicchiarelli, l’Archivio centrale dello Stato, quello dell’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito, oltre a quello dell’Associazione reduci della legione.
In questo libro, rivolto agli specialisti e a chiunque sia interessato alla storia del fascismo e della Seconda guerra mondiale, l’autore ricostruisce la storia della legione, originariamente costituita su base territoriale da soldati friulani, ai quali si erano quindi aggiunti emiliani: volontari in gran parte, tra i 30 e i 40 anni, veterani che, dopo aver fatto le loro esperienze belliche in Africa orientale, Spagna, Albania e sul fronte occidentale e che quindi erano almeno dei trentenni, spesso addirittura quarantenni, dal 1941 si ritrovarono sul fronte russo per combattere con coraggio e subendo forti perdite, partecipando a episodi come la battaglia di Natale» del 1941. Vestendo la camicia nera, combatterono con un coraggio e un’abnegazione che guadagnò al loro reparto e al suo originario comandante riconoscimenti e decorazioni. I militi della legione, poi gruppo «Tagliamento», come avrebbe riconosciuto Chruščëv, si distinsero, per tutta la durata di quella crudele campagna, anche per un costante atteggiamento di correttezza e di rispetto nei confronti dei nemici e delle popolazioni civili. I «soldati fascisti», considerati come le SS, e in quanto tale odiati e temuti, s’imposero all’ammirazione dei russi oltre che per il valore, per le doti di umanità. L’autore mette non a caso in evidenza la gelosia di cui questi uomini, dei quali i tedeschi si fidavano molto più di quelli degli altri reparti e che pertanto volevano al loro fianco, furono vittima da parte delle divisioni del Regio esercito cui di volta in volta furono aggregati. Come ha scritto Franco Cardini nella presentazione al volume, sarebbe «un’autentica ingiustizia e un’offesa nei confronti dei probi ricercatori che dedicano alla storia la loro fatica, se questo libro finisse nel limbo delle opere considerate di curiosa erudizione o, peggio, di memorialistica “di parte”». Fabei, servendosi di una documentazione di diversa provenienza e attentamente soppesata, sempre sottoposta al necessario confronto, dopo aver ripercorso le vicissitudini di cui fu protagonista la legione in Russia, ne ripercorre la storia fino al rientro in patria e al crollo del regime, anticipando le vicende di cui altre formazioni, costituite coi pochi reduci dal fronte russo, furono protagoniste durante la RSI, assumendo il prestigioso nome di «Tagliamento».
Un testo prezioso di storia militare, che contribuisce a gettare una luce ulteriore e per molti versi nuova su una pagina importante della Seconda guerra mondiale.
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