di Raul Gabriel
In una società in cui tutto viene messo in dubbio in maniera pervasiva, relativizzato, liofilizzato e ridistribuito in dosi consumer-friendly, mi stupisce il modo ostinato in cui alcuni concetti siano ritenuti inattaccabili, quasi principi assiomatici di verità rivelata. Uno di questi è senza dubbio la (presunta) antitesi tra tecnica e politica, particolarmente di moda ora che la “tecnica”, qualcuno dice, ha sostituito la democrazia.
Prendiamo i concetti di tecnico e di politico in sé e cerchiamo per una volta di rinunciare alla infarcitura di bulimia citazionista di cui siamo satolli, e di generare un pensiero autonomo, presente, e che proviene dalla nostra percezione .
In Cinese, l’ideogramma che sta per “tecnica”, ha contemporaneamente in sé i significati di arte, mistero e processo. Trae origine dal simbolo del crocevia, che significa cammino, strada, comunicazione. In origine, almeno in questo caso, la gerarchia tra le due categorie semplicemente non esiste. La politikè sottintende la teknè, e dato che teknè ha uno spettro di significato cosi ampio da includere praticamente ogni attività umana, dentro la teknè si colloca anche la teknè della politica.
Mi servirò di un parallelismo per proseguire il discorso. La divisione tra spirito e corpo, è un tragico esempio di dicotomia pretestuosa. Visto che hai uno spirito che è altro dal corpo (si è detto spesso nella storia), al corpo posso fare quello che voglio. Traslato: visto che c’è un pensiero politico, posso plasmare la tecnica come mi pare poiché troverò comunque una giustificazione politica.
Niente di più fuorviante. Corpo e spirito sono inscindibilmente ed inspiegabilmente innervati uno nell’altro, sono anzi sostanza uno dell’altro, e cosi la tecnica è inscindibilmente corpo della politica e compone un conglomerato indistricabile con essa. Ogni scelta tecnica è scelta politica, e può avere un approccio umanistico, riferito alla crescita umana, allo stesso modo delle più profonde ed ardite riflessioni politiche. Allo stesso modo, e la storia ce lo dimostra, la politica può divenire anche fredda tecnica di massacro, diventando molto più asettica e disumana di qualunque strumento “tecnico” immaginabile.
Rendere la politica a-tecnica è un modo di crearsi campo libero, come se non esistesse un “corpo” , giungendo a forme astratte di ideazione che non hanno giustificazione in un mondo composto da categorie “fisiche” (per complicare la cosa rilevo che ogni ideazione proviene da una strutturazione logica che possiamo benissimo definire “tecnica del pensiero”). È impressionante come la maggioranza si accodi dietro questa cognizione di politica che è altro dalla tecnica, fino al punto da associare una presunta negazione della democrazia al concetto di tecnica. La perdita della democrazia è stata infatti prodotta sempre da “politici”.
La tecnica ha la medesima dignità e diritto della politica perché non frequenta un altro campo: è la medesima cosa. La pretesa scissione è da ricomporre, frutto di un voluto malinteso culturale, volto a giustificare la mancanza di idee e di talento di taluni politici e la loro volontà di dominio indipendente da ragioni dimostrabili.
Sia ben chiaro: queste considerazioni non entrano nel merito di quanto la tecnica possa fare danni o meno, entrano nel merito del fatto che li può fare esattamente come la politica. La scelta tecnica è scelta politica, e la scelta politica, se vuole diventare “applicabile”, è giocoforza scelta tecnica. Per troppo tempo i politici si sono situati in un limbo in cui è possibile vivere staccati dalla urgenza di fare. La città è reale, il corpo è reale, ed è grazie al corpo che lo spirito può prendere esistenza. La politica dovrebbe essere luogo di dissertazioni autoreferenziali e platoniche, un mondo delle idee…..che governa chi agisce? Almeno fosse quello!
La separazione tra categorie cosi attinenti, fa parte di un pensiero vecchio, strumentale ed artificioso. Seguendo questo principio siamo arrivati ad una frammentazione irreale, ad una idea di specializzazione che è perdita progressiva di conoscenza in maniera direttamente proporzionale alla suddivisione esponenziale. Una visione veramente contemporanea ed alternativa non può non andare nel senso di una ricomposizione.
Alla luce delle acquisizioni odierne, non ha senso pensare che ci sono porzioni di conoscenza equamente divise ed indipendenti per categorie, come quelle di corpo e spirito (o “mente”) o di politica e “tecnica”. Il corpo, la estroflessione “pragmatica” del pensiero, è altrettanto materiale ed immateriale, nulla in meno e nulla in più del pensiero stesso. Esiste una conoscenza che si evolve nel fare, nel toccare, nello strutturare, esattamente come nel generare pensiero. Generare pensiero è in ogni caso “fare”, è “tecnica”, è “corpo”. I meccanismi sono analoghi e le categorie più omogenee di quanto sembra.
Un errore essenziale è quello di confondere la tecnica con lo strumento. Poniamo un bisturi. Lo strumento bisturi è un oggetto e in sé non ha alcuna possibilità di autodeterminarsi. Per “tecnica” si deve intendere l’utilizzo di quello strumento, e in sé potrebbe anch’essa destare il sospetto di restare strumento: uno strumento che usa uno strumento. Una specie di chimera acefala in cerca di una testa. Non è così.
Nel momento in cui lo strumento comincia ad essere realmente utilizzato, le situazioni da affrontare richiedono in ogni istante una quantità di scelte che essendo tecniche sono per cosi anche dire politiche. Deciderò dove tagliare e come tagliare in base al quadro complessivo che inevitabilmente si va formando mano a mano che procedo nella operazione e nello scenario proiettivo mentale che costantemente mi creo di quella operazione. Avrò quindi un quadro “politico” dell’operazione, giusto o sbagliato che sia, nel momento stesso in cui comincio ad utilizzare lo strumento tecnico.
Se ci si forma un “quadro politico” (intervento e finalità) prescindendo dalla conoscenza dello strumento tecnico da utilizzare, si è destinati a compiere obbrobri. Per converso, un esempio di efficientismo esasperato delle tecniche asservite ad un pensiero politico sono state le ottimizzazioni funzionali dei campi di sterminio ed in particolare dei crematori. In quel caso la predicazione e l’apologia assurda degli ingegneri che si sono prestati all’orrore si basano proprio sul fatto che i forni erano “tecnica” ….al servizio della politica. Si vede bene quale deviazione può assumere la divisione pretestuosa tra tecnica e politica. Quali non sensi e perfino mostruosità.
Un senso critico che possa dirsi contemporaneo non può più accettare dicotomie le cui ragioni di essere si oppongono alla crescita umana e sociale e che trovano una radice comune in un ben preciso e conosciuto refrain: divide et impera.
* Artista, scrittore, regista
Commento (1)
Marco
Leggo questo articolo e mi viene voglia di abbonarmi alla Rivista di Politica.