di Danilo Breschi
“In generale in Italia nessuno comanda, ma tutti si impongono”. Così Giuseppe Prezzolini scriveva nel suo “Codice della vita italiana”, raccolta di aforismi pubblicata per la prima volta nel 1921 per le edizioni de “La Voce”. Questa lapidaria sentenza mantiene intatta tutta la sua validità, capace com’è di descrivere alla perfezione un’atavica condizione della società italiana, che si riflette anche a livello politico e istituzionale. Lo conferma la frase che immediatamente precede il nostro aforisma: “In Italia il Governo non comanda”. Prezzolini lo scriveva appunto nel 1921, e dalla denuncia di quella mancanza si arrivò alla soluzione autoritaria e dittatoriale del fascismo. Proprio perché fu questo lo sbocco della pluridecennale polemica al sistema parlamentare dell’Italia liberale, simboleggiata dalla contestatissima figura di Giolitti, dal secondo dopoguerra in poi si è sempre considerato un tabù metter mano alla forma di governo per dotarsi di un esecutivo più solido ed efficace.
Tra le molte gravi deficienze del sistema politico italiano vi è proprio l’estrema difficoltà, se non impossibilità, di individuare con certezza chi deve decidere e chi è responsabile di ogni decisione presa. A fronte di un esecutivo debole abbiamo avuto la burocratizzazione dilagante di ogni procedura decisionale, il modo migliore per non sapere mai chi comanda e come e perché. Nel mondo della ipertrofia legislativa e regolamentare, del comma aggiunto all’ennesimo articolo di codice, trionfano sempre gli Azzeccagarbugli di manzoniana memoria. E finisce, appunto, che “nessuno comanda, ma tutti si impongono”. Dal punto di vista più strettamente sociologico, e antropologico, questo fenomeno rivela anche il prevalere di una struttura di tipo tribale nel nostro sistema sociale.
Le ragioni di questo tribalismo italico affondano nella notte dei tempi, o almeno dalla dissoluzione dell’impero romano. Le società tribali mancano di ogni livello organizzativo al di sopra di quello locale della tribù. Ebbene, ci stiamo arrivando anche in Italia. Quel che alcuni hanno chiamato “declino”, da fermare, o più genericamente e banalmente “crisi”, è piuttosto una progressiva disarticolazione dello Stato e del tessuto connettivo economico e sociale del nostro Paese. Per accorgersene, basta alzarsi ogni mattina e andare a lavorare, o provare a farlo. Finché ci si muove nel piccolo comune di provincia, c’è ancora un minimo di agibilità, appena ci si sposta in un centro urbano di medie dimensioni le difficoltà crescono esponenzialmente. Non parliamo poi delle grandi città. Per esse vale un’altra serie di sarcastici ed amari aforismi prezzoliniani: “L’Italia non è democratica né aristocratica. È anarchica”, e inoltre: “In Italia contro l’arbitrio che viene dall’alto non si è trovato altro rimedio che la disobbedienza che viene dal basso”. Un vero e proprio modus vivendi nazionale riscontrabile in ogni settore della nostra convivenza.
Siamo dunque una società tribale? Verrebbe da dir di sì, di primo acchito, ma a seguire le rigorose definizioni degli antropologi si scopre che molte strutture tribali, soprattutto le più arcaiche, sono al loro interno particolarmente egualitarie, e nella maggior parte dei casi non hanno una chiara definizione di proprietà privata. Il nostro tribalismo è ben diverso. Ha caratteristiche tutte sue. Convive con quell’anarchia di cui sopra. Ma in fondo rispetta perfettamente quanto ci dice la Treccani della voce “tribalismo”: “non è la riproposizione dell’arcaico, ma l’esito identitario di gruppi in lotta per il controllo di risorse nei nuovi contesti contemporanei spesso segnati dalla dissoluzione di ideologie e istituzioni unificanti”. Resta però un dubbio sulla correttezza di questa denominazione, dopo che ho letto quanto scriveva Bruce Chatwin all’editore Tom Maschler il 24 febbraio del 1969 a proposito dei “cacciatori arcaici onnivori”, ed in particolare degli aborigeni australiani. Lo scrittore-esploratore inglese riferiva di come all’interno delle loro comunità “i capi guidano, non costringono”. Siamo dunque più tribali degli aborigeni?
(contributo già apparso su www.danilobreschi.com)
Lascia un commento