di Alia K. Nardini
Oramai è definitivo: il partito Repubblicano non affronterà una convention aperta. Con 1161 delegati in totale dopo il voto in Oregon del 17 maggio, la nomination di Donald Trump sembra inevitabile. Per la certezza matematica, bisognerà tuttavia aspettare le primarie del 7 giugno.
Appare altrettanto evidente che il partito non si spaccherà, e l’establishment conservatore si allineerà, riluttante ma ubbidiente, dietro a The Donald. Non ci sarà una fuga en masse di politici e intellettuali verso la sinistra: gli unici ad abbandonare (temporaneamente) le file del Grand Old Party saranno i falchi in politica estera, i neoconservatori come Robert Kagan e Joshua Muravchik – che d’altronde già da tempo hanno dichiarato il loro sostegno per Hillary.
Non ci sarà neppure una candidatura indipendente. Nonostante le frenetiche telefonate di Mitt Romney, né lui, né il Senatore del Nebraska Ben Sasse, né l’ex Senatore dell’Oklahoma Tom Coburn, né altri, potranno efficacemente convogliare il sentimento anti-Trump in una candidatura credibile per il GOP. È innegabile che nessuna figura interna o esterna al partito possa competere con il magnate newyorchese.
Mentre i conservatori si lamentano, i politici si preoccupano, e gli elettori inveiscono contro le elites di Washington, Trump prosegue la propria campagna insidiando il primato di Hillary Clinton nei sondaggi. Dopo il rilevamento della Fox di qualche giorno fa, che vedeva l’imprenditore in vantaggio con il 45% delle preferenze contro il 42% di Hillary, anche secondo gli ultimi dati Rasmussen Trump è in testa di ben 5 punti percentuali sull’ex Segretario di Stato.
È indubbio a questo punto che la politica statunitense come la abbiamo sinora conosciuta sia giunta al capolinea. Certo, vi sono stati in passato altri candidati dirompenti, che hanno cambiato per sempre le dinamiche tra i partiti ed il loro elettorato -tra i paragoni più scontati, Barry Goldwater e George McGovern. Tuttavia, lo scenario non è paragonabile all’odierna ascesa di Donald Trump. Goldwater fu il candidato Repubblicano nelle elezioni del 1964. Per quanto percepito come eccessivamente intransigente ed estremamente impopolare e polarizzante nel suo stesso partito, ebbe il merito di allargare il sostegno per il GOP nel Sud del paese. Gettò inoltre le basi per unificare il fronte Repubblicano, portando a convivere l’intellettualismo conservatore, il libertarismo economico e l’attivismo populista, e conquistando personalità radicalmente diverse ma tutte estremamente influenti come Milton Friedman, Frank Meyer, William Buckley, L. Brent Bozell, Phyllis Schlafly ed Ayn Rand.
McGovern fu il candidato Democratico alla presidenza nel 1972; dopo una campagna in veemente opposizione all’interventismo statunitense in Vietnam ed il sostegno indiscusso alla Great Society di Lyndon Johnson, venne sconfitto da Nixon. Lasciò un partito fortemente spaccato e sbilanciato a sinistra, al punto che gli Scoop Jackson Democrats (che divennero poi i neoconservatori) si trovarono isolati al centro dello spettro politico e andarono a confluire nella New Right reaganiana, che portò il GOP al governo per 3 mandati consecutivi (2 del Governatore della California, 1 di Bush padre). McGovern ridefinì tuttavia il patriottismo statunitense, senza che l’interventismo ne fosse parte costitutiva e fondamentale; ribadì inoltre l’importanza del governo federale e del liberalismo come caratteri tipicamente statunitensi.
Per quanto sostanzialmente rivoluzionari, entrambe i personaggi dimostrarono tuttavia la volontà di integrarsi nel sistema governativo nonché un certo rispetto verso il mondo della politica, mai rigettandone i meccanismi di funzionamento. Diversamente, Trump ha messo in discussione l’essenza stessa del sistema elettorale americano, e ha raggiunto la nomination sulla base della promessa di cambiare le regole della politica. Trump inoltre non è in grado di avere un sostegno intellettuale composito come Goldwater; né di capitalizzare sui successi passati del proprio partito come McGovern. Non celebra i traguardi di chi lo ha preceduto, e non intende ricompattare le schiere dei propri sostenitori in una amalgama coesa.
In questo senso, il grande difetto di Trump non è la sua mancanza di esperienza politica. Piuttosto, è la sua volontà distruttrice, unita alla sua superficialità e alla sua incoerenza. Sono tratti estremamente preoccupanti. Quanto affermato oggi può essere completamente cancellato, o capovolto, domani. In altre parole, è estremamente difficile sapere cosa aspettarsi per il futuro. Certo è che non solo il partito Repubblicano, ma la politica statunitense nel complesso, cambieranno radicalmente dopo queste elezioni.
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It is now definite: the Republican Party will not face an open convention. With 1,161 delegates in total after the vote in Oregon on May 17, Donald Trump’s nomination is inevitable. However, we just wait for the primaries on June 7th in order to say so with mathematical certainty.
It seems equally clear that the party will not dramatically split, and the conservative establishment will line up, reluctantly but obediently, behind The Donald. Politicians and intellectuals will not be fleeing en masse towards the left. The only ones to (temporarily) leave the GOP will be the foreign policy hawks, i.e. neocons such as Robert Kagan and Joshua Muravchik – who, in any case, had already declared their support for Hillary.
Further, there will not be any relevant independent alternative. Despite Mitt Romney’s frantic phone calls, neither he nor the Nebraska Senator Ben Sasse, nor former Senator Tom Coburn of Oklahoma can effectively channel anti-Trump sentiments into a credible spokesperson for the GOP. It is evident that no candidate can match the New York tycoon’s broad and unprecedented support.
While centrist conservatives wail, politicians complain, and voters express their deep anger towards the elites in Washington, Trump continues his campaign, undermining Hillary Clinton’s primacy in the polls. After the last Fox survey, which placed the entrepreneur in the lead with 45% of the vote against Hillary Clinton’s 42%, the latest data provided by Rasmussen also had Trump leading a full 5 percentage points ahead of the former Secretary of State.
There is no doubt that American politics has reached an unprecedented turn. Sure, there have been other unruly and unpopular candidates in the past who influenced the evolution of the party’s electorate: most notably, Barry Goldwater and George McGovern. However, those scenarios are not comparable with Trump’s momentum. Goldwater was the Republican nominee in the 1964 election. Although he was perceived as relatively uncompromising and hugely polarizing, as well as extremely unpopular in his own party, he had the merit of broadening support for the GOP in the South of the country. Also, he unified the Republican front, bringing together conservative intellectuals, economic libertarians, and social activists. He enlisted radically different, but extremely influential supporters: Milton Friedman, Frank Meyer, William Buckley, L. Brent Bozell , Phyllis Schlafly and Ayn Rand.
McGovern was the Democratic candidate for president in 1972. Hs campaign vehemently opposed US interventionism in Vietnam and he supported Lyndon Johnson’s Great Society; however, he was defeated at the hands of Nixon. He left a strongly divided party, heavily leaning to the left, to the point that Scoop Jackson Democrats (who then became the neoconservatives) found themselves isolated at the center of the political spectrum, and coalesced in Reagan’s New Right. Although his candidacy ushered the GOP into power for 3 consecutive mandates (two Reagan Administrations, followed by Bush Senior), McGovern had the merit of redefining American patriotism. He broke away from the interventionist model and reiterated the importance of the federal government and of liberalism as intrinsically American characters.
Although essentially revolutionary, both Goldwater and McGovern displayed a willingness to work within the system and had a profound respect for the world of politics. Contrarily, Trump has cracked the very essence of the American electoral system, as he approaches the nomination on the premise of turning the political rules entirely upside down. Still, Trump has not been able to obtain diverse intellectual support as Goldwater had; nor has he capitalized on his own party’s past successes, as McGovern did. He does not celebrate the achievements of those who preceded him, and he does not intend to unify his supporters into a cohesive group.
Essentially, Trump’s great flaw is not his lack of political experience. Rather, it is his destructive demeanor, coupled with his superficiality and his political inconsistency -all of which are deeply disturbing. With Trump, what is true today might be completely discarded, or reversed, tomorrow. In other words, it is extremely difficult to know what to expect in the future. It is only certain that not only the Republican Party, but US politics as a whole, will never be the same after this election.
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