di Giuseppe De Lorenzo – 23/01/2015
Sono anni che il Front National, per conquistare un voto meno identitario, continua affannosamente a ripetere che«Destra e sinistra non esistono più». Lo ha ribadito Marine Le Pen a D’Alema negli studi di La7: «la nuova distinzione è tra chi difende gli interessi dei popoli e chi quelli delle tecnocrazie europee». Lettura che, peraltro, trova riscontro nelle analisi dei flussi elettorali, dove l’avanzata dei partiti euroscettici nel Vecchio Continente sembra essere trasversale. Questi movimenti sono accomunati, in larga parte, da un motto comune, che li vede opporsi come fronte compatto dei paladini dei popoli contro la freddezza dei numeri dei vincoli economici e monetari. Ritenuti a ragione fattore di logoramento delle condizioni di vita dei cittadini. Ma è davvero così monolitico il fronte contro l’Europa?
Destra e sinistra europea continuano a differenziarsi sui temi etici, l’immigrazione e in parte le politiche sociali. Ma anche quel collante che ha portato i media a raggruppare questi movimenti sotto l’etichetta euroscettica si sta dimostrando inadeguato. O, forse, si stanno delineando più chiaramente le linee di separazione tra i substrati culturali dei vari movimenti, dal Front National fino a Syriza, dalla Lega Nord a Podemos passando dai vari Ukip, Movimento 5 Stelle ed Alternative für Deutschland. In riferimento, in particolare, alle scelte a favore o contro la moneta unica. L’Euro è ciò che separa oggi le destre e le sinistre europee.
La nuova frattura da registrare più accuratamente è dunque quella tra destra e sinistra dei critici dell’Europa. Ne sono evidente dimostrazione le mosse elettorali di Tsipras e della sua creatura politica per le elezioni del prossimo 25 gennaio, se confrontate con le parole dei leader “lepenisti”. Andiamo con ordine.
Nel 2012 Syriza spaventò i mercati per il seguito che iniziava a radunarsi intorno alle idee del giovane Alexis Tsipras. Il cavallo di battaglia, fomentato dalle disastrose situazioni sociali, non era l’uscita dall’Euro (progetto mai entrato nel programma della sinistra greca), ma il cambio radicale della politica economica europea. Tuttavia, Syriza non escluse a priori un possibile crollo dell’unione valutaria. Euro sì, ma non a tutti i costi.
Il risultato elettorale del 2012, nonostante la netta affermazione, non permise però la realizzazione di un governo guidato da Tsipras e questo per due motivi: sia per la reazione del popolo greco al rischio paventato dell’isolamento internazionale, sia per il frammentato panorama partitico uscito dalle urne. Da quel giorno di acqua sotto i ponti ne è passata, portandosi con sé tre anni di politiche di rigore. Così oggi la Grecia si trova a dover votare un nuovo governo che tutto lascia preludere vedrà Tsipras nei panni del primo ministro.
In un articolo-intervista pubblicato sul Foglio del 20 gennaio, la mente economica di Syriza, John Milios, è stato chiaro: «rispetto al 2012 siamo maturati». Vale a dire, il partito della sinistra ellenica non è più una mina vagante pericolosa per la sopravvivenza della moneta unica. Tutt’altro, vogliono difenderla.
È necessario eliminare il partito di sinistra greco dal gruppo degli euroscettici duri e puri, ed inserirlo a pieno titolo in quello dei responsabili: critici verso il liberalismo dei vincoli Ue, ma non oppositori dell’Euro. Tant’è che la corsa sfrenata di questi giorni del leader di Syriza al riconoscimento internazionale è stata travolgente. Dapprima ha mandato Milios a rassicurare la City di Londra; poi ha inviato articoli in giro per i giornali di mezza Europa. Qualche giorno fa è comparso un editoriale sul Corriere della Sera, in cui il candidato premier assicurava che «Syriza non è più un pericolo come nel 2012». Poi è stato il turno del Financial Times, in un fondo scritto con l’intento di chiarificare obiettivi e strumenti politici del partito. Il punto centrale, ovviamente, era proprio l’assicurazione che la Grecia «come membro dell’Eurozona rispetterà gli obblighi per mantenere il pareggio di bilancio».
In meno di due anni, dunque, Syriza da spettro per l’Europa sembra essersi trasformato nel suo miglior alleato. Cui Bruxelles dovrà fare delle concessioni, ovvio. Ma le alleanze tra due nemici hanno per natura qualche compromesso alla base. Il nemico comune? Lo spiega un altro passaggio dell’editoriale apparso sul NYT: «a meno che le forze del progresso e della democrazia non cambieranno l’Europa, saranno Marine Le Pen e la sua destra estrema a cambiarla per noi». In questo modo, Tsipras si candida a difensore del blocco europeista, scardinandone alcuni tabù ma lasciandolo, almeno nelle intenzioni, sostanzialmente immutato.
Ecco, dunque, che la frattura politica torna a presentarsi nell’era che avrebbe dovuto vedere la fine dell’opposizione destra-sinistra. Anche se non ancora compiutamente – perché rimangono ancora molti i partiti con una posizione intermedia e poco definita-, si stanno definendo e distanziando tre grandi poli, la destra no-euro, la sinistra no-austerità e l’area moderata al centro (di cui fanno parte, si noti, partiti popolari e socialisti), differenziandosi ognuno secondo specifiche scelte ideologiche, in particolare in ambito monetario. Da una parte Front National, la Lega Nord e in qualche modo anche l’Ukip inglese di Nigel Farrage. Dall’altra Syriza in Grecia, Podemos in Spagna ed ulteriori formazioni minori in altri paesi (chissà che non possa un giorno affermarsi anche in Italia).
A sottolineare questa differenza tra destra “lepenista” e sinistra europea è stato il responsabile economico delle Lega Nord, Claudio Borghi Aquilini, già professore all’Università Cattolica di Milano. Alla nostra domanda ha infatti risposto che è sbagliato confondere Tsipras con il Carroccio o Il Front National. Bisogna invece contrapporre chi vuole «abbandonare la moneta unica senza richiedere alcun aiuto economico», a chi, invece, dopo averla minacciata per lungo tempo, ora la difende proponendosi come ultimo baluardo di resistenza dell’Eurozona. Distanze che significano l’approfondimento di questa nuova frattura che, se non è già nello stato effettivo delle cose, potrebbe disegnare il nuovo panorama politico e partitico europeo.
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