di Giuseppe Paparella

Le ragioni della protesta di parte della popolazione turca non sono da attribuire alla difesa dell’ambiente o a povere performance economiche: le stime di crescita del PIL turco per il 2014 si attestano intorno al +4%.

Innanzitutto, la Turchia non è una democrazia: una premessa fondamentale per evitare azzardati paragoni eurocentrici. Infatti, i più recenti e affidabili indicatori deputati a rilevare le caratteristiche di democraticità di un certo Paese classificano la Turchia come un “regime ibrido”, alla stregua di Libia e Iraq. Tale categoria che si pone a livello intermedio tra le cosiddette “democrazie deboli” o “imperfette” e i regimi autoritari veri e propri (Economist Democratic Index, 2012). Ancora, secondo Freedom House, la Turchia è un Paese solo parzialmente libero, in virtù delle fortissime restrizioni ai diritti civili, che hanno subito un ulteriore contraccolpo negli ultimi dodici mesi (Freedom House Report, 2013). La Turchia, pertanto, non può essere paragonata a una democrazia, tantomeno in fieri: piuttosto, l’esatto contrario.

Il Paese, sotto la guida di Erdogan e del presidente Abdullah Gul, che su Foreign Affairs l’ha recentemente definita come una “potenza virtuosa” e benefica per il Medio Oriente, punta a diventare l’attore egemonico in Medio Oriente. Affinché ciò si realizzi sono indispensabili una serie di condizioni: una popolazione numerosa e un’economia dinamica e attiva, che a loro volta presuppongono una relativa tranquillità sociale e soprattutto stabilità politica.

In tal senso, non suonano inaspettate le parole di Erdogan pronunciate al quarto congresso generale dell’AKP, svoltosi la scorsa primavera. Durante l’assise, il premier turco ha ribadito il primo obiettivo della sua grande strategia, ovvero quello di trasformare la Turchia in una grande potenza entro il 2023, centesimo anniversario dalla fondazione della Repubblica.

Sempre secondo il premier turco, l’atto finale di tale progetto vedrà il Paese pronto ad assumere un ruolo egemonico in Medio Oriente entro il 2071. Questa data è molto significativa per il popolo e la cultura turca, in quanto segnerà il 1000° anniversario dalla battaglia di Manzikert. Nel 1071, infatti, le tribù selgiuchide di religione islamica sconfissero le truppe dell’impero bizantino, avviando in Anatolia la turchizzazione della regione e la creazione del Sultananto di Nicea, poi base per l’espansione dell’Impero ottomano.

La strategia neo-ottomanista punta a colmare un vuoto di potere oggi sussistente in Medio Oriente. Il nuovo orientamento della politica estera americana, rivolto al Pacifico, e la relativa debolezza degli attori circostanti hanno rafforzato le convinzioni di Ankara. L’Iraq è ancora profondamente diviso da scontri tra fazioni; in Iran l’unica ragione che garantisce al regime ancora una certa legittimità è legata alla realizzazione del programma nucleare; la Siria è dilaniata dalla guerra civile, mentre l’Arabia Saudita non ha mai dimostrato di essere interessata a perseguire politiche egemoniche.

È inoltre importante sottolineare l’evoluzione dei rapporti tra l’AKP e le forze armate turche. Protagonista di tre colpi di stato, tutti avvenuti tra il 1960 e il 1980, l’esercito turco, che sin dal 1923 si è considerato l’alfiere e il difensore della laicità dello Stato, è stato gradualmente esautorato dai suoi poteri e molti ufficiali imprigionati. In seguito agli scontri di piazza Taksim e di Gezi Park, la cui gestione è stata per la prima volta demandata alle forze di polizia e non a quelle armate, e soprattutto dopo il colpo di stato in Egitto, il governo ha emendato significativamente la Costituzione assegnando all’esercito un mero compito difensivo dalle minacce e dai pericoli esterni.

A fronte della profonda delegittimazione delle forze armate, l’ambizioso progetto dell’AKP assume connotati inquietanti, se riconsiderato alla luce delle più recenti spese militari: nel 2013 la Turchia spenderà il 2,4% del proprio PIL in armamenti, più di Cina e Francia, confermando così un incremento complessivo del 119% registrato tra il 2002 e il 2011 (SIPRI Database).

Ovviamente, ci sono ancora molti ostacoli alla realizzazione della strategia di lungo periodo dell’AKP. Tuttavia, i segnali che propendono verso la sua realizzazione sono sempre più evidenti.

 

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