di Michele Marchi

È un anniversario piuttosto sotto tono quello che attende François Hollande in vista del primo anno di permanenza all’Eliseo. A dieci mesi dalla storica elezione alla guida della V Repubblica, primo socialista dopo l’icona della gauche francese ed europea François Mitterrand ad ottenere la guida del Paese, l’ex segretario del PS deve fare i conti con una complicata crisi economico-sociale e con livelli di gradimento dell’opinione pubblica ai minimi storici.

Proprio partendo da quest’ultimo punto la fotografia che giunge da oltralpe è impietosa. Soltanto il 31% dei francesi si dice soddisfatto dell’operato di Hollande. Si tratta del livello più basso a dieci mesi dall’elezione di tutti i presidenti della V Repubblica. Per avere un termine di paragone, il citato Mitterrand nel marzo 1982 poteva contare su 30 punti percentuali in più e anche un presidente spesso discusso come Chirac, nel marzo 1996, superava il 40% di gradimento. Per crollare in maniera così netta nei sondaggi, quel Sarkozy mai realmente accettato dai francesi ha impiegato quasi quattro anni: infatti solo nel marzo 2011 era sceso al 30% di gradimento. E se queste cifre si osservano da vicino, il quadro per Hollande diventa anche peggiore. Da un lato, infatti, anche l’elettorato di sinistra sembra oramai deciso ad abbandonarlo. Da inizio anno il presidente ha perso il 16% tra l’elettorato del Front de gauche e l’8% tra quello socialista. Per la prima volta a marzo 2013 il 54% degli elettori ecologisti e il 62% di quelli della gauche radicale disapprovano il suo operato. D’altra parte l’inquilino dell’Eliseo non può nascondersi dietro la scusante di uno scarso gradimento che però, come accadeva per Sarkozy, questa volta non è di natura personale. È vero, i francesi non giudicano il loro presidente antipatico, provocatore o dissacrante nel ruolo presidenziale, come in larga parte avveniva per Sarkozy. Però essi dubitano relativamente alle sue capacità di governo, esprimono giudizi tranchant a proposito della sua competenza e sul suo essere in grado di incarnare il necessario principio di autorità. Infine, l’87% parla della necessità di un leader in grado di mettere ordine nel Paese.

In definitiva un Paese malato e sfiduciato sembra mettere in dubbio non solo la cura che il suo presidente le sta somministrando, ma giunge a dubitare fortemente delle capacità del medico stesso che lo ha in cura, lo dovrebbe guarire e, nello specifico, governare. Come molti analisti hanno cominciato a scrivere, quella che si profila sembra essere una vera e propria crisi del ruolo presidenziale.

Ma prima di riflettere su questo punto occorre gettare uno sguardo sulle dimensioni reali di questa crisi economico-sociale. Anche in questo caso i numeri sono piuttosto impietosi. I dati relativi all’economia reale parlano di “crescita nulla”, per il primo semestre 2013. Qualcosa potrà muoversi, ma solo nel secondo semestre. Magra consolazione affermare che, perlomeno, la recessione è stata bloccata. Il mese di marzo è stato il ventiduesimo di seguito nel corso del quale la disoccupazione è aumentata (10,25, pari ad oltre tre milioni, vicinissima al massimo storico del 1997). Il livello di popolarità di Hollande è inversamente proporzionale a quello che segna questo aumento costante dei disoccupati. Nel 2012 poi è anche calato il potere d’acquisto e non avveniva dal 1984. Infine i conti pubblici. Il deficit è sceso dal 5,3% al 4,8%, ma l’obiettivo era il 4,5%. Ma soprattutto il debito ha raggiunto il 90,2% del Pil. Il 2012 ha visto aumentare la spesa pubblica (dal 55,9% al 56,6%) e l’imposizione fiscale (+1,2%) e tutto senza crescita. Anche un centro-destra dilaniato dalle faide interne come quello dell’UMP ha buon gioco nell’attaccare un presidente giudicato deficitario sia sul fronte del rigore, sia su quello della crescita.

La situazione economico-sociale è certamente grave, ma quella che appare, a tutti gli effetti, una sorta di inadeguatezza politica di Hollande non può essere considerata un fulmine a ciel sereno.

Hollande ha vinto le primarie interne al PS giocando la carta del profilo socialdemocratico, da opporre al socialismo “duro e puro” di Martine Aubry e si è dimostrato abilissimo in questo approccio. Ha poi vinto in maniera abbastanza agevole l’elezione presidenziale sfruttando il doppio “rigetto” nei confronti di Sarkozy. Quello comune ai leader politici in carica in tempo di crisi e quello intrinsecamente legato ad un presidente che aveva obiettivamente commesso troppi errori nei suoi cinque anni all’Eliseo. Nella brevissima “luna di miele” post-elettorale, Hollande ha da un lato cercato di sdrammatizzare la portata della crisi e di accontentare il proprio elettorato con provvedimenti propagandistici (vedi la tassa del 75% sui redditi superiori al milione di euro) o “di società” (vedi il mariage pour tous) e dall’altro giocato la carta europea della crescita da opporre all’austerità alla tedesca. La conferenza stampa del 13 novembre scorso ha segnato uno spartiacque. Hollande ha preso atto che rigore e competitività potranno non essere la panacea per tutti i mali, ma sono imprescindibili per puntare ad una crescita solida e duratura nel momento in cui, come tutti sperano, l’economia internazionale dovesse ripartire anche nel Vecchio Continente. Si può parlare dunque di un tournant, di una svolta, come quella ben più famosa di Mitterrand nel 1983?

Il profilo politico di Hollande e la sua recente apparizione televisiva sembrano far propendere per il no. Mitterrand nel 1983, giocando la carta europea sollecitato dal suo ministro dell’Economia Delors, chiuse la porta ai due anni precedenti di nazionalizzazioni e di tentativi utopistici di applicazione di un solitario socialismo alla francese quando tutto l’Occidente veniva conquistato dalle teorie neo-liberali di matrice anglosassone. E non a caso inaugurò quel socialismo liberale ben incarnato dal nuovo e giovane Primo ministro Laurent Fabius. Hollande non ha né il profilo, né l’autorevolezza politica per “rovesciare il tavolo”. Il suo è un gioco di rimessa. Aveva promesso in campagna elettorale “redressement et apaisement”. Sul primo punto si è piuttosto lontani e allora Hollande, da socialista pragmatico e gestionario, una volta resosi conto che la cura sul fronte della domanda non è più sufficiente (redistribuzione più rigore) ha deciso di agire anche su quello dell’offerta (competitività più flessibilità). Ma questo basterà?

Anche sul secondo obiettivo, quello dell’apaisement dopo gli anni della rupture di Sarkozy, il bilancio è piuttosto deficitario. Il provvedimento sui matrimoni gay, ora al Senato, ha coagulato un’opposizione di destra altrimenti allo sbando e ha fatto riemergere quella frattura tra le “due France”, quella laica e potenzialmente laicista e quella cattolico-conservatrice (al limite del clericale) che si riteneva oramai sopita. L’apertura di un dibattito sulla procreazione medicalmente assistita, così come quello sul voto agli stranieri (perlomeno a livello amministrativo), potrebbero far aumentare una temperatura ideologica che la difficile congiuntura economica già contribuisce a mantenere alta.

Da un punto di vista essenzialmente politico la critica più evidente che si può muovere ad Hollande è quella di non essersi mostrato in grado di stupire. Il presidente socialista sta gestendo il Paese come aveva gestito per oltre un decennio il partito socialista: mediando e procedendo senza strappi, ma anche senza proporre soluzioni originali a problemi nuovi e sempre più complessi. In una recente intervista il Primo ministro Ayrault ha ribadito che il suo impegno e quello del Presidente sono volti a garantire la sopravvivenza del modello sociale e repubblicano francese. La coppia al vertice del Paese sta insomma spendendosi per ritrovare un equilibrio che il modello socio-economico ha in realtà perduto da fine anni Settanta. La crisi apertasi nel 2008 sembra però aver definitivamente rimesso in discussione tutte le categorie novecentesche, a partire da quella dello Stato sociale generoso e finanziato dall’industrializzazione di massa. L’ingrato compito di Hollande, ma con lui di tutta la classe dirigente europea, è quello proporre nuove cure, partendo però da una diagnosi per molti aspetti completamente nuova.

La Francia si trova nel mezzo di un guado pericoloso e il comandante della nave per profilo politico e nell’operato concreto, non si è mostrato, ad oggi, all’altezza della situazione. Se in Italia viviamo uno stallo politico pericoloso, su sfondo di una crisi economica gravissima, anche oltralpe non possono certo dormire sonni tranquilli. Parigi però può ancora contare su un atout costitutivo non indifferente rispetto a Roma: la solidità delle sue istituzioni e la funzionalità del suo sistema elettorale.

Insomma, mal comune mezzo gaudio… ma fino ad un certo punto!

 

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