di Simone Ros
Qualche giorno fa, l’insigne politologo francese Marc Lazar, commentando su Repubblica la scintillante vittoria di Obama e il naufragio del claudicante Grand Old Party e del suo araldo (il manageriale e freddo “squalo” Mitt Romney) recuperava la nota formula “sarko-berlusconismo” per indicare una certa tendenza della destra europea. Una tendenza iperpersonalistica e superomistica incarnata appunto (seppur con le inevitabili differenze) dall’”uomo di Arcore” e dall’“iperpresidente” neogollista, alfieri di uno stile e di una visione del proprio ruolo potentemente incarnate dalla loro rutilante ascesa politica (il tycoon del Biscione sulle macerie della Prima Repubblica a Roma, il giovanissimo e scalpitante ministro a Parigi).
Se volgiamo lo sguardo ad est, sempre al di là delle Alpi, ci si imbatte nell’apparentemente placida Seconda Repubblica Austriaca. Uno Stato in versione ridotta rispetto al suo ingombrante e mai dimenticato imperiale predecessore, ammantato di orgoglio nordico seppur in bilico tra il rigore luterano di Berlino e le cicale del Club Med (quelli che la stampa anglosassone ha perfidamente definito i “maiali” d’Europa). Una terra che, sotto una patina di buonismo asburgico e conclamato efficientismo teutonico, rivela un’incredibile e inaspettata varietà di tensioni e sommovimenti carsici: un sistema partitico sclerotizzato e continuamente macchiato dall’infamante accusa di corruzione, una Grosse Koalition afasica e in preda a mille mal di pancia, un’estrema destra xenofoba e antieuropea gonfia di voti, una sinistra socialdemocratica popolata da teste grigie e priva di energia. Se l’Italia non può dare lezioni a nessuno sull’argomento, è comunque un’affascinante pietra di paragone per una Repubblica in cerca di identità (prova concreta gli scoraggiati dibattiti suscitati dalla recente festa nazionale): se Bersani ed Alfano temono il dirompente ciclone Grillo, a Vienna si dibatte (con un pizzico di ironia, vista la maggiore tenuta del sistema) sul fenomeno Stronach. L’Austria, già balzata in passato agli onori delle cronache per i suoi “uomini forti” (come dimenticare l’ardimentoso ultrà della destra Jörg Haider?), discute da mesi sull’opportunità (e sul probabile successo) della candidatura del miliardario austro-canadese Frank Stronach (le elezioni politiche si terranno il prossimo anno, ma i partiti scaldano già i motori). Prima di descrivere il rubicondo ottantenne e il suo “movimento” (anzi, Team) è necessario precisare il panorama politico nel quale il nostro ha deciso incautamente di addentrarsi in prima persona (è risaputo che il generoso Stronach ha lautamente finanziato in passato i suoi politici “preferiti”, fossero essi di destra o sinistra). L’attuale governo del cancelliere socialdemocratico Werner Faymann (che ha recentemente fatto visita al nostro Monti) è un condominio social-popolare (il vice-Cancelliere e Ministro degli Esteri Michael Spindelegger è infatti il leader del Partito Popolare, seconda formazione a livello nazionale), ago della bilancia tra una sinistra ecologista (i Verdi) e una destra populista ed euroscettica post-haideriana incarnata dall’aggressivo Partito della Libertà (la FPÖ del discusso Heinz Christian Strache) e da un’altra piccola formazione (gli arancioni del BZÖ, ormai in via di estinzione). Non è ozioso citare gli ultimi dati sulle percentuali che tali partiti incasserebbero se le elezioni si tenessero oggi (settembre 2012, Istituto Karmasin): 27% ai socialisti, 22% ai popolari (inchiodati quindi al di sotto del 50%), 21% alla FPÖ, 15% ai Verdi e un modestissimo 2% alla morente BZÖ.
È proprio in questo scenario frammentato e incerto (la coalizione governativa in affanno e condannata a sopravvivere o a cadere insieme, la destra di Strache pericolosamente catalizzatrice di consensi sulle spoglie del più moderato BZÖ) che si inserisce il nostro: il neopartito di Stronach (emblematicamente denominato “Team Stronach”) raggranellerebbe infatti una percentuale che si aggira intono al 10%. Travaso di delusi dalla violenta retorica di Strache o sostenitori di altri partiti indignati per l’infamia delle tangenti e della corruzione dilagante (lo stesso Cancelliere è coinvolto in uno scandalo legato alle sovvenzioni pubbliche alla stampa)? Quel che è certo è l’indiscutibile talento del suo fondatore nel bucare lo schermo, il suo stile rodomontesco e aggressivo, la boriosa consapevolezza di chi può sbattere in faccia al mondo il proprio incredibile successo (particolare divertente: persino un video del redivivo Bill Clinton che ne tesse, generoso, le lodi).
Frank Stronach, fresco esordiente ottuagenario, è in grado di squadernare un curriculum che farebbe impallidire chiunque: nato nella minuscola Kleinsemmering come Franz Strohsack (in tedesco, “sacco di paglia”. Cognome imbarazzante e debole, quindi destinato a cadere sotto la sua scure), decise di emigrare giovanissimo in Canada (ancora oggi, per effetto dei lunghi anni di assenza, il suo tedesco non è perfetto) dal quale tornò come Frank Stronach, ricchissimo amministratore delegato della Magna (industria di componenti per il mercato automobilistico, con 108.000 dipendenti). Il cronista del tedesco Spiegel, dal quale traggo questi dati, osserva divertito: “ricordate quando Magna tentò di acquisire Opel? Frank Stronach non si ferma davanti a niente e nessuno”. Stanco di aprire il portafoglio dietro le quinte (beneficiari un ex cancelliere socialista e un rampante, all’epoca, Ministro delle Finanze della FPÖ) Frank ha deciso di “scendere in campo” in prima persona per ridare smalto all’Austria (emblematico il messaggio fatto apparire a pagamento sui giornali in occasione della Festa nazionale, in posa da statista), snellire la pubblica amministrazione, far sparire le zone grigie della politica (“Trasparenza” è una delle parole d’ordine), riformare il sistema di tassazione. Stronach non si è fatto mancare nulla e, per celebrare più che degnamente il proprio salvifico arrivo, ha scelto la modesta Orangerie di Schönbrunn, l’antica residenza imperiale asburgica. Il 27 settembre 2012, circondati da pochi fedelissimi (acquisti recenti), ha scandito: “Questo giorno entrerà nella storia dell’Austria e del mondo”. Riuscirà la debordante autostima del plutocrate austro-canadese a scompaginare il sistema politico austriaco?