di Antonio Capitano e Marianna Scibetta
Esiste oggi un partito che sappia parlare e ascoltare il linguaggio della “gente”? Ci sono riforme che possano rinnovare il Paese per arrivare finalmente anche alle fasce più deboli? Quali sono oggi gli scenari della politica? Su quale terreno oggi si gioca la partita del benessere sociale? Nel costante inquinamento acustico della realtà quotidiana fatta di spread e di leggi di stabilità, di vuoti dibattiti, di norme che non si approvano o che si approvano mutilando il sistema, deve essere necessariamente trovata una strada da percorrere per arrivare a quella Terza Repubblica che tutti invocano ma pochi preparano.
Se c’è una parola che viene pronunciata da tutti gli schieramenti questa è riforme. Riformare diviene dunque il sentiero da seguire; il problema è come seguirlo e con chi seguirlo. In questo sfacelo totale dovuto principalmente all’impero della corruzione che si infila, come una perdita d’acqua, sotto le porte di quelle che una volta si chiamavano istituzioni, è necessario fermarsi un momento per capire come arginare ogni deriva. In questo quadro, anche il concetto di riformismo ha perduto il suo senso originario, quel senso che permetteva appunto di riformare qualcosa. Quel qualcosa che oggi non c’è più. La fine delle ideologie ha racchiuso il concetto “costituzionale” di partito dentro un enorme “gruppo misto” formato da tutti. Prova ne sono le discrepanze tra accordi centrali e locali. Cosicchè per trovare qualche novità occorre volgere lo sguardo agli emergenti movimenti che debbono ancora però superare la “prova governo”. In realtà, in questo senso, il fenomeno dell’antipolitica è un avvenimento in divenire. La rottura del sistema sta avvenendo infatti non per meriti di qualcuno, ma per colpa di altri. E di chi? Di chi ha polverizzato gli ideali partitici o politici che dir si voglia. Come non pensare alla litigiosità costante intorno al meccanismo delle primarie. Un affare interno viene di colpo proiettato su scala nazionale “americanezzando” un confronto più a colpi di slogan che di idee.
La “gente”, sempre quella e sempre la stessa, vuole sapere come cambiano le pensioni, se si possono creare posti di lavoro e se può ancora avere soldi in tasca da spendere e rimettere in circolo l’economia a partire da quel negozio sotto casa che ormai ha tolto le insegne.
Quella stessa “gente” non è tanto interessata se chi è sceso in campo vent’anni orsono passa la mano e lancia le primarie (che potrebbe essere la versione femminile dei primari…). La “gente” vuol sapere, rimanendo in ambito “sanitario”, se può fare una TAC in tempi brevi per salvarsi la vita.
E’ questo il quadro di un nuovo riformismo che cambi strutturalmente il Paese. Un concreto nucleo di riforme che possa dare regole e certezze. Senza generare deroghe o dubbi. Poi se queste riforme si chiamino legge elettorale, anticorruzione, di stabilità poco importa. Ciò che conta è che si facciano le cose giuste perché come afferma Ronald Dworkin è necessario “non solo che le persone abbiano diritti, ma che fra questi vi sia un diritto fondamentale, addirittura assiomatico, […il] diritto all’eguale considerazione e rispetto, che non solo si oppone, ma addirittura implica i diritti di libertà”.