di Marino Freschi*
Quando ho conosciuto Predrag Matvejević a Trieste, durante un convegno, ci fu subito simpatia perché avevo pronunciato correttamente il suo non facile cognome d’origine russa. Il padre era stato un combattente antibolscevico nell’armata “bianca” e alla sconfitta emigrò a Mostar dove si sposò con una croata. Questo connubio segnò la sua vita e la sua formazione culturale: padroneggiava varie lingue slave, perfettamente le lingue genitoriali, ma ben presto (come molti croati) apprese l’italiano e successivamente (pure come molti intellettuali slavi) il francese. Era anche così uno degli ultimi intellettuali “universalisti”, padrone di lingue e culture occidentali ed orientali. La sua attività culturale si esplicò nella scrittura e nell’insegnamento. Fu docente di Letteratura Francese a Zagabria e poi di Letterature Comparate alla Nouvelle Sorbonne-Paris III. Dal 1994 al 2008 alla Sapienza di Roma ricoprì la cattedra di Slavistica, quella che fu di Angelo Ripellino. E di Ripellino condivideva una autentica vena poetica, nonché un trascinante amore per il mare, per il Mediterraneo, cui dedicò il Breviario del Mediterraneo, il suo libro più bello, appassionante e appassionato e ancora attuale, “geniale, fulminante, inatteso”, come ha scritto Claudio Magris, suo grande amico, insieme all’altro scrittore triestino di lingua slovena, Boris Pahor, che lo difese cavallerescamente durante un assurdo processo dall’accusa – completamente infondata – di aver diffamato lo scrittore bosniaco Mile Pešorda che costò a Matvejević una condanna ad alcuni mesi di carcere. Queste profonde amicizie lo legarono più intimamente all’Italia, a quell’Italia “mitteleuropea”, quella di Slapater, Stuparich, Svevo e Saba, fino a Biagio Marin, Fulvio Tomizza, Claudio Magris e Boris Pahos. Era questa la sua più autentica patria, ché Matvejević apparteneva a quella koiné culturale e spirituale, a quella comunità che dall’Adriatico si estendeva a Praga, a Cracovia, a Budapest fino alle comunità yiddish della Galizia, della Bucovina. Era, quello, un universo, sostenuto per secoli da una grandiosa tolleranza. Un mondo dove – a differenza da quello germanico e italiano – più che la storia si afferma il primato della geografia, dello spazio sul tempo. Anzi di una geografia che con Matvejević si sublima in “geopoetica”, come è stata interpretata la sua intuizione dell’unità spirituale e storica del Mediterraneo, che nel suo pensiero si eleva a modello culturale fondante della civiltà europea. Anni fa, mi capitò di organizzare a Roma un convegno su “Esiste la MItteleuropa?”. Matveiević tenne la relazione inaugurale che divenne una apologia di un mondo, di una cultura, di una comunità ormai sommersa, sprofondata nel baratro delle violenze e dell’intolleranza. Per questo il suo Breviario, è da leggersi come il manifesto di una possibilità che è ancora aperta, che non deve essere abbandonata, rifiutata, dimenticata. E il suo libro, comparso in croato nel 1987, tradotto nel 1991, si trasformò nel suo principale successo editoriale e intellettuale, che in parte anticipa la Geofilosofia dell’Europa del 1994 di Massimo Cacciari.
Il Breviario indica già nel titolo una matrice cristiana che riaffiora nella sua opera, pur sostanzialmente laica, ma coraggiosamente rispettosa delle radici cristiane dell’Europa. Non a caso il suo ultimo libro apparso in Italia, Pane Nostro (anch’esso da Garzanti), riannoda le tante tradizioni di una civiltà contadina che parte dai fondamenti, dal pane e dal vino, sia nel senso più sublime, ma anche nell’accezione più domestica che indica semplicità e pace. Ed è questo il messaggio più intenso e commovente di questo intellettuale che si sentiva impegnato in un compito di pace e di conciliazione. In questo spirito aderì all’invito di Romano Prodi di partecipare quale rappresentante del Mediterraneo al gruppo dei saggi della Commissione Europea. Coerentemente partecipò anche ai lavori della Fondazione Mediterraneo (la ex Fondazione Laboratorio Mediterraneo) di Napoli, una città che gli ricordava gli empori multietnici e multiculturali dei porti dalmati e dell’Odessa ucraina, russa, ebraica di suo padre.
L’impegno politico di Matvejević percorre come un filo rosso sia la sua vita, indomita che non conobbe compromessi, sia la sua opera. Il libro che maggiormente testimonia questa tensione etica e politica è L’epistolario dell’altra Europa, che raccoglie una serie di lettere ideali indirizzate a scrittori viventi o scomparsi, conosciuti o sconosciuti, da Mandel’stam a Sacharov, da Václav Havel a Milan Kundera, da Solzenicyn a Brodski, da Milosc a Dubcek, e altri ancora, radunando una nobile galleria degli scrittori dissidenti dell’Europa Orientale, che hanno pagato di persona il prezzo della libertà. Ora in questo Pantheon ideale dell’Europa, insorta e risorta, possiamo celebrare, grande tra i grandi, anche Predrag Matvejević, croato e insieme italiano: infatti aveva ottenuto la cittadinanza del nostro paese per un appello di Magris e di Raffaele La Capria accolto dal presidente della Repubblica. Croato e italiano, ma spiritualmente anche francese e russo, Matvejević resta soprattutto un estremo testimone dello spirito libero della Mitteleuropa.
* Germanista e scrittore
Lascia un commento