di Leonardo Varasano
In un mondo dell’informazione monocorde e sempre più incline ad abbeverarsi a fonti di terza e quarta mano, spesso rimbalzate da una parte all’altra del web, c’è ancora spazio per pagine – rare e preziose – di significativo giornalismo d’inchiesta. C’è ancora chi – vivaddio – sa andare alla ricerca di casi e storie dimenticate (o quasi), percorrendo strade poco battute, raccontando fedelmente suoni e colori, umori e passioni, fremiti e speranze.
È il caso, ad esempio, di Fabio Polese e della sua agile ma pregnante indagine sull’Irlanda del Nord, raccolta nel volume Strade di Belfast. Tra muri che parlano e sogni di libertà, appena pubblicato per Eclettica edizioni.
Giornalista e fotoreporter freelance perugino con un’evidente predilezione per gli ultimi e per i «popoli in lotta», collaboratore di più testate – da il Giornale al Corriere della Sera -, Polese non è nuovo ad inchieste di rilievo. Dopo un pregevole lavoro sugli italiani detenuti all’estero, dopo i ripetuti reportage sui Karen della Birmania, è ora la volta di Belfast.
Quella della principale città dell’Irlanda del Nord è una vita solo apparentemente pacificata. Sotto la coltre di una quiete superficiale si cela una realtà dolorosa, fatta di muri (le cosiddette Peace Lines) e divisioni pervicaci, di suicidi e disoccupazione, di sussidi e di mai sopiti aneliti di indipendenza.
A distanza di oltre 17 anni dagli accordi di pace con cui l’Irish Republican Army (IRA) annunciò lo smantellamento del proprio arsenale, la tensione sopravvive: «continuano ad esserci gruppi armati ben organizzati e più o meno collegati con il passato», ma – rileva Polese – «non hanno più l’appoggio della maggioranza della popolazione e per questo le loro azioni sono molto rare». Rare ma puntuali, come gli incidenti di strada – talvolta vere e proprie battaglie – che si verificano ogni luglio, quando, in occasione della commemorazione della battaglia di Boyne (1690), si contrappongono unionisti britannici e repubblicani irlandesi.
Tra sussidi e disoccupazione ad altissimi livelli (oltre il 23%), tra droghe e suicidi (16 ogni 100mila abitanti), Belfast sembra vivere anestetizzata. La passione politica – segnata da oltre 30 anni di guerra nell’Irlanda occupata – appare incanalata nell’agone democratico e ridotta di pathos. Eppure il passato non passa. Il mito di Bobby Sands – il giovane repubblicano irlandese morto nel maggio del 1981, dopo 66 giorni di sciopero della fame in un carcere britannico, divenuto modello di sacrificio e di lotta per la liberà – vive e prospera. I muri di Belfast parlano ed urlano attraverso graffiti di grande significato sociale e politico (oltre che di ottima fattura), con frasi in gaelico, ricordi dei caduti per la causa nazionalista e rappresentazioni di pagine di storia ancora vivissime.
Attraverso un agile ed intenso volume ricco di fotografie, Polese coniuga al meglio la forza penetrante delle immagini con quella delle parole. La realtà che restituisce il giornalista perugino è articolata, complessa, preoccupante. Quali dunque i possibili scenari futuri? L’autore non azzarda ipotesi, ma ribadisce più volte una solida convinzione: il sogno di un’Irlanda libera dagli inglesi non è morto, la fiamma della rivolta è ancora accesa. Guai a darla per spenta.
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