di Antonio Capitano e Marianna Scibetta
A prima vista un libro su “La disapplicazione delle leggi” (Giuffrè 2012) potrebbe apparire rivolto soltanto agli addetti ai lavori o comunque a chi opera, a vario titolo, nel variegato mondo del diritto. Ma nel caso di volumi scritti dall’insigne giurista Vittorio Italia non è mai così. Il suo ultimo lavoro è un saggio agevole che ci mette al corrente di questa materia che riguarda molto da vicino i soggetti giuridici, con il fine primario della certezza del diritto. Italia è sempre molto chiaro, con esposizioni schematiche che arrivano con puntualità al nucleo centrale della trattazione. Per questo giurista dai vasti orizzonti, eminente professore e studioso di diritto pubblico e diritto amministrativo vale una bella frase di Albert Camus: “Quelli che scrivono con chiarezza hanno dei lettori, quelli che scrivono in modo ambiguo hanno dei commentatori”. E il concetto di chiarezza deve essere necessariamente connesso con quello di certezza per evitare quel vuoto normativo che danneggia l’intero sistema dei rapporti giuridici.
La disapplicazione delle leggi solleva non pochi problemi e anche molte inquietudini sul concetto stesso di giustizia. In questo senso l’autore richiama “storicamente” la disapplicazione nella tragedia “Antigone”. Dal dramma di Sofocle apprendiamo che Antigone sovverte l’ordine naturale delle cose ribellandosi alla legge e attentando all’ordine sociale in quanto, quale suddita, non può disubbidire al re. Antigone, eroina dell’antica tragedia, non si oppone solo alla legge (Nomoi) ma anche alla consuetudine che la rimanda ad una “responsabilità senza colpa”. Per tale ragione, spesso, viene ad ergersi nel diritto la realizzazione di un’azione derivante dalla ragionevolezza. La legge nota ad Antigone è nell’essenza congiunta con la legge opposta, l’essenza è l’unità di entrambe le leggi. In questo senso l’Antigone diviene spunto di una discussione tra etica e diritto, contrasto tra coscienza individuale e leggi universali, tra leggi universali e “dovere supremo” (Hegel).
Vi è nella tragedia antica il contrasto tra la legge dello stato e la legge della pietas e nello stato impersonato dal tiranno Creonte che conviene ad una ragionevolezza e quindi alla “disapplicazione” del suo editto ma “troppo tardi per riconoscere ciò che è giusto”.
La legge rappresenta insieme al giudizio il concretarsi dell’ordine giuridico, ma non solo. La legge si confronta necessariamente con la realtà per la quale è stata costruita e per il suo governo messa nella condizione di agire.
Spesso una legge e la sua comprensione, nell’ambito dell’ordinamento giuridico, sono state oltrepassate dalla prassi e dai mutamenti che si verificano in virtù e per effetto del “diritto vivente”. Un diritto che tende alla “compatibilità”, alla “coerenza” tra dettami normativi spesso eterogenei e discrepanti che richiedono l’atto di una disapplicazione e il susseguente istituto di un’altra norma che annienti il “vuoto giuridico” che di per sé creerebbe una sorta di pericoloso buco nero nel diritto. L’istituto di disapplicazione della legge trova il suo fondamento giuridico nella nota Legge n. 2248 del 1865 con la quale vengono regolate le giurisdizioni tra giudice ordinario e giudice amministrativo secondo il contestuale principio della limitazione dei rapporti tra giudice ordinario e amministrativo.
La disapplicazione di una legge quindi sussiste nei casi in cui venga a crearsi un paradosso tra due norme contraddittorie, ma che sullo stesso piano sono entrambe vere. Ciò demanda ad una logica del diritto, la logica di esclusione di modo che una delle due norme contrastanti non sia valida e applicabile nello stesso tempo e nella medesima circostanza. Mettere in atto dunque un istituto di disapplicazione normativa significa di fatto avvalorare la “certezza del diritto”.
Soprattutto nel ramo del diritto amministrativo si avverte l’esigenza della disapplicazione della norma e l’art. 5 della Legge di abolizione del contenzioso amministrativo è forse l’unico modello di riferimento di diritto positivo vigente che nasce da un’esigenza logico-giuridica di coerenza, di riordino dei contenuti normativi.
Esistono numerose discrasie e discrepanze nella meccanicità di disapplicazione di una legge dal punto di vista costituzionalistico, in quanto l’atto della disapplicazione sfida dei vincoli che non esistono sugli atti amministrativi, tanto che la disapplicazione viene riconosciuta da M.S. Giannini “figlia deforme dei nostri istituti di giustizia amministrativa”.
L’emergere di opposizioni e conflittualità richiede un lungo cammino di ritorno verso la saggezza pratica e la necessità pratica.
Spesso il conflitto nasce tra diritto comunitario e diritto interno e sovente il giudice è chiamato a dirimere la questione e a far valere il diritto comunitario disapplicando la legge nazionale. Si comprende allora che un giudice ha la facoltà di far disapplicare una legge italiana che è opposta e contrastante ad una legge della Unione europea, poiché è abilitato a farlo e ad applicare tale provvedimento.
Ciò farebbe pensare alla costituzione di un sistema di leggi parallelo che potrebbe essere creato e messo in atto diffusamente dai giudici comuni. E’ a questo punto che si accentua il principio del nostro ordinamento secondo cui la Corte costituzionale ha il potere e il compito di privare di efficacia le leggi ordinarie in contrasto con la Costituzione: principio a cui si potrebbe attribuire la portata di principio supremo dell’ordinamento costituzionale.
Il giudice in questo senso si fa interprete e garante sia del diritto interno sia del diritto comunitario e deve impedire che vengano violati i principi normativi fondanti e le disposizioni dei due ordinamenti. E’ per tale motivo che vi sono principi inderogabili e saldi.
L’autore, in particolare, nel saggio in esame rivolge l’attenzione sui principi e leggi che non sono disapplicabili, o che sono disapplicabili solo parzialmente e principi e leggi che non sono applicabili o lo sono solo parzialmente.
Il punto principale che Italia. mette a fuoco è il momento dell’applicazione del principio o della legge e ci si deve chiedere se il principio o la legge applicata debbano essere interpretati secondo i criteri del principio o della legge di origine o se invece debbano essere interpretati secondo i criteri interpretativi delle leggi al cui livello il principio o la legge disapplicata si collocano. Ne consegue un problema nuovo che deve essere risolto non con i criteri della connessione delle parole ma delle norme con una necessaria espressione attraverso i criteri dell’interpretazione sistematica.
Vittorio Italia come sempre si muove con disinvoltura lessicale per rammentarci costantemente che il vuoto normativo è una condizione patologica e pericolosa dell’ordinamento nel quale, per dirla con Flaiano, oggi si può essere rivoluzionari solo applicando le leggi. E’ chiaro dunque – evidenzia il giurista – che di fronte alle moderne e numerose situazioni di disordine e di confusione legislativa e di attività, la disapplicazione può costituire una positiva tendenza verso la giustizia, quasi un contrappasso moderno di fronte alle imprecisioni legislative ed alle ingiustizie che lo stesso Flaiano avrebbe definito il tragico rischio che la vita diventi un esercizio burocratico per mettere fine ai tormenti interpretativi.
L’autore dunque – con la chiarezza espositiva che rende leggero ogni suo scritto, compresi quelli che hanno per oggetto tematiche giuridiche più ostiche – prende per mano il lettore e lo conduce verso la comprensione anche di questa disciplina.
E da questa agevole comprensione ne deriva che la disapplicazione della legge è un itinerario che consente di pervenire, come se si fosse attratti da una forza di gravità, a quell’equilibrio che è l’elemento di base della certezza e della giustizia.
La disapplicazione delle leggi, nel duplice momento della disapplicazione e dell’applicazione rammenta le metamorfosi che esistono in natura (dal bruco alla farfalla) dove viene abbandonato (si direbbe disapplicato) il precedente involucro non più adatto a reggere la vita, e si assume (e viene applicata) una nuova forma, un elemento nuovo e diverso, che consente di proseguire la vita in forme e momenti nuovi.
Forme e momenti nuovi sempre presenti in ciascun libro dell’insigne giurista che sono dei tasselli importanti non solo per la cultura giuridica ma anche per la cultura generale, per la capacità di innovare e di restituire la bellezza del diritto e delle argomentazioni che ne arricchiscono il sostanziale contenuto.
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