di Alia K. Nardini
La settimana prossima si vota in Arizona e in Michigan, ma il panorama per la nomination all’interno del Grand Old Party è sempre più incerto. Mitt Romney è ancora in vantaggio nello stato del Grand Canyon, dove i 29 delegati saranno scelti attraverso un sistema maggioritario secco (winner takes it all); mentre nella terra dei grandi laghi, dove è favorito Rick Santorum (seppur non più con lo stacco di dieci punti di cui godeva la settimana scorsa), i 30 delegati in palio verranno assegnati con il proporzionale.
La strategia di Santorum guarda a rafforzare il proprio sostegno tra i Tea partiers; nel contempo, l’appuntamento del Michigan dà all’ex Senatore della Pennsylvania la possibilità di presentarsi non solo come portavoce del conservatorismo sociale, ma come un candidato capace di parlare con competenza dei temi economici e di creare un consenso ampio che lo porti sino alla nomination di Tampa, per un testa a testa con Obama a novembre. Il voto in Michigan avrà valore simbolico: e Santorum ha compreso prima di tutti l’importanza di sconfiggere Romney nel suo stato natale, così come capì altrettanto bene il significato della tripletta in Colorado, Minnesota e Missouri all’inizio di febbraio. Mentre gli analisti politici sottolineavano che i suoi successi erano poco influenti, dato che gli ultimi appuntamenti elettorali non assegnavano delegati per la convention, l’ex Sentore della Pennsylvania ripeteva che non si trattava solo di delegati, ma di dimostrare che, sfidando Romney alla pari, lui poteva batterlo. Anche oggi, il messaggio di Santorum è che non solo Romney è debole, che può essere sconfitto; ma che il candidato migliore per farlo è proprio lui. Ora, se tutto questo si ripete in Michigan, dove Romney è cresciuto, si riparte da zero. Per dirla nei termini sportivi tanto cari agli americani: per le primarie è finito il primo quarto, e il risultato per ora è 0-0.
D’altro canto, Mitt Romney deve dimostrare di saper conquistare i cosiddetti blue collar voters, la classe operaia che più fortemente è stata penalizzata dalla crisi economica. Il luogo migliore per farlo è proprio il Michigan, lo stato in cui suo padre è stato Governatore e ha riportato l’industria automobilistica al successo come amministratore della American Motors Corporation. Per gli stessi motivi tuttavia, perdere il Michigan sarebbe un duro colpo per Romney: è la sua tradizione di famiglia a prospettare lo stato dei grandi laghi come una sfida relativamente semplice da vincere, e proprio per prevenire la portata disastrosa di un’eventuale sconfitta, Romney sta cercando di minimizzare l’importanza di questo appuntamento.
Allo stesso tempo, Romney guarda pensieroso all’ascesa di Santorum – non certo il primo candidato, va detto, a godere di un momento di grande popolarità nella corsa alla nomination Repubblicana come alternativa all’ex Governatore del Massachusetts. La decisione che Romney deve ora prendere è quanto duramente attaccare Santorum: una campagna aggressiva ha funzionato contro Gingrich in Florida, ma ha aumentato la percezione dell’ex Governatore del Massachusetts come di un candidato “negativo”, disposto a giocare al ribasso su questioni etiche e personali. Le critiche a Santorum, per ora, sembrano concentrarsi sul suo voting record a Washington, troppo favorevole agli earmarks (la pratica secondo la quale parte dei fondi pubblici approvati al Congresso vengono destinati ad uno specifico progetto all’interno di uno stato; oppure quando uno stato viene espressamente esentato dall’obbligo di versare determinati contributi); e di non essersi mai realmente opposto all’innalzamento del tetto massimo del debito pubblico – e quindi di non essere davvero un fiscal conservative. D’altronde, il super Pac che appoggia Romney sta ancora attaccando Gingrich, specialmente in Ohio e Arizona; forse per far fronte a tutte le possibilità, specialmente nello stato del Grand Canyon, dove l’ex speaker alla Camera è ancora forte.
Chi realmente sembra avere difficoltà in questa corsa è proprio Newt Gingrich, il quale però è ben lontano dall’arrendersi e riconduce tutto ad una questione di comunicazione politica: dove si è espresso al meglio, ha vinto. Quindi, secondo l’ex speaker, la strategia migliore è semplicemente quella di raccogliere altri fondi, per poter aumentare la propria visibilità e riprendere quota dopo il super Tuesday. L’impressione degli analisti politici è che al sud Gingrich farà sicuramente bene; ma non per questo potrà impensierire Romney. È d’altronde probabile che i voti conquistati da Gingrich seguitino a togliere linfa vitale alla candidatura di Santorum.
Per Ron Paul, invece, è tutta una questione di numeri. Paul conta molto sui delegati che prenderà dai conteggi del Maine, e ha dichiarato che le preferenze elettorali valgono molto più di qualsiasi premio del CPAC (la conferenza degli attivisti politici conservatori, il cui sondaggio d’opinione ha incoronato Mitt Romney). Paul conta altresì sui prossimi caucus states, dove è più facile conquistare delegati anche per chi non si piazza al primo posto. Infine, Ron Paul è l’unico a competere con Romney in Virginia (appuntamento il 6 marzo, 49 delegati in palio con primarie aperte). Nessun altro candidato ha presentato in tempo le 10mila firme richieste per iscriversi (dovevano essere almeno 400 per distretto, con eccedenze non trasferibili): essendo la Virginia quella che si definisce una primaria ibrida, dove l’allocazione dei delegati è con il winner takes it all se un candidato supera il 50% (ciò che accadrà necessariamente, essendo solo in 2), Ron Paul ha realisticamente buone possibilità di successo. La sua strategia è quella di accumulare delegati in vista di Tampa, per far voce grossa alla convention e più generalmente sulle politiche economiche all’interno del partito.
Quasi ogni candidato, d’altronde, ha dalla sua parte dei sondaggi. Santorum andrebbe forte in una sfida contro Obama secondo gli elettori conservatori dell’Ohio – uno stato importante, da sempre conteso da Repubblicani e Democratici; Romney riporta un consenso simile in Virginia. Ciò nonostante, Obama è ancora in vantaggio su qualsiasi sfidante Repubblicano, in tutti gli stati contesi (i cosiddetti swing states), i quali però danno pareri misti sull’operato del Presidente riguardo alla direzione del paese e all’andamento dell’economia. Ma se Obama sembra inattaccabile nella Dixie tier, la fascia che include Carolina, Florida e Virginia, i Repubblicani fanno meglio nella Rust belt (Iowa, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin). Senza un candidato che però unisca realmente il partito, ed in fretta, il Grand Old Party non può essere in grado di vincere.
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