di Alessandro Campi
E’ una regola non scritta della politica democratica (ma un po’ anche un innocente gioco di società) che certe consultazioni locali siano in grado di condizionare e anticipare, per qualche strana alchimia che sfugge agli esperti di marketing elettorale, il voto a livello nazionale. Si dice in modo proverbiale (anche se la cosa non è storicamente del tutto vera) dell’Ohio nel caso delle presidenziali americane: chi vince in quel piccolo swing state, strutturalmente in bilico tra democratici e repubblicani, finisce sicuramente alla Casa Bianca.
In Italia, forse a causa della sua natura politicamente instabile e ballerina, ci sono tanti Ohio. Dopo essere toccato alla Puglia, alla Sicilia e alla Liguria, pescando a memoria tra le elezioni degli ultimi anni, stavolta tocca all’Abruzzo: se qui alle regionali di domenica prossima vince il centrodestra (tornato anche fisicamente unito come si è visto ieri a Pescara con il pubblico incontro tra i suoi leader), il centrodestra potrebbe rinascere come coalizione anche a Roma nell’immediato futuro. Il che è come l’annuncio della fine del governo giallo-verde in carica.
Le difficoltà di quest’ultimo in verità sembrano prescindere dall’esito di qualunque voto e sono imputabili al divaricarsi crescente delle intenzioni, degli interessi e delle strategie dei due alleati. Anche in politica gli innesti contro-natura non producono frutti (e se nascono sono avvelenati). Se l’idea di Lega e M5S, quando firmarono il famoso ‘contratto’, era di spartirsi l’Italia in due e di gestirsi ognuno il suo elettorato di riferimento con provvedimenti ad hoc (tipo al Nord l’autonomia fiscale e al Sud il reddito di cittadinanza) si sta vedendo che la cosa non funziona. Se si hanno idee opposte sulle cose fondamentali (ad esempio le grandi opere) governare insieme più che difficile diventa impossibile, oltre che dannoso per l’intero Paese. Se son spine, dunque, pungeranno: uno dei due alleati potrebbe davvero arrivare a staccare la spina anzitempo per manifesta incompatibilità.
Ma mettiamo che il futuro della politica italiana dipenda invece interamente dal voto degli abruzzesi. Cosa potrebbe effettivamente accadere chiuse le urne? Quanto è fondata ad esempio l’idea di un centrodestra che vincendo potrebbe ritrovare la sua antica armonia? Se rimettersi tutti insieme è il sogno nemmeno tanto segreto di Berlusconi, probabilmente la cosa (ancora) non conviene a Salvini. L’obiezione maligna dei grillini, che tornando col Cavaliere egli rischia di perdere consensi, ha in effetti un fondamento: parecchi elettori, tra quelli che a cui piacciono i toni muscolari del capo della Lega in materia d’immigrazione, potrebbero non gradire un suo ritorno al passato a braccetto col capo dichiarato dei moderati che tifa per l’Europa di Bruxelles. Si lascerebbe oltretutto ai grillini la propaganda nel nome del cambiamento e della chiusura con le facce della vecchia politica.
Salvini ha chiaramente un disegno egemonico in testa. Ma vuole prendersi gli elettori di Berlusconi, non quest’ultimo, almeno sino a che non sarà debole a tal punto da sperare che siano i suoi stessi uomini a costringerlo all’abbandono e alla resa. Uno scenario possibile ma di medio periodo, visto il credito di cui Berlusconi continua a godere e visto se che l’anima arrabbiata della Lega è soddisfatta dal radicalismo verbale del capo-sempre-in-divisa, quella pragmatica e utilitarista (ben radicata al Nord) comincia ad essere insofferente per lo stato in cui versa l’economia italiana. Gli imprenditori lombardo-veneti, tra una recessione strutturale che affonda la produzione industriale e qualche sbarco in più sulle nostre coste che al massimo finisce per affollare i centri d’accoglienza, non avrebbero dubbi su cosa scegliere. Berlusconi lo sa e spera in loro per recuperare qualcosa dei suoi antichi consensi.
Ma i sondaggi abruzzesi dicono che il centrodestra è avanti, non che vincerà sicuramente. I distacchi tra i contendenti dei tre blocchi sono relativamente minimi. Alle politiche del marzo 2017 il M5S da queste parti fece il botto (con quasi il 40%). Se dovesse strappare la regione al centrosinistra, correndo come sempre da solo contro le ampie coalizioni messe in piedi dagli avversari, è probabile che finisca per alzare la posta ancora di più a livello di governo. Dopo aver sofferto per mesi l’attivismo mediatico-politico di Salvini, i grillini già si stanno divertendo a tenerlo sulla graticola sul voto in giunta al Senato per il caso Diciotti. Sul No alla Tav, dopo tante mediazioni e cedimenti che hanno fatto innervosire oltremodo la loro base, hanno fatto capire che sono persino disposti a far cadere il governo. E dunque vincendo in Abruzzo affronterebbero il voto europeo con rinnovato slancio, avendo nel frattempo riequilibrato i rapporti con l’alleato leghista e conquistato la loro prima regione.
Quanto al Pd, prega e spera (a Roma si leggono con cautissimo ottimismo i sondaggi che circolano in queste ore). Il suo candidato ha recuperato molte posizioni rispetto alle settimane scorse. Peccato per il tono sonnolento del dibattito congressuale in corso, che diversamente avrebbe potuto fare da traino al voto abruzzese mobilitando l’elettorato potenziale di quel partito. Ma i miracoli possono sempre avvenire. In questo caso, più che una vittoria, se mai dovesse arrivare, sarebbe l’arresto salvifico di un declino che in prospettiva, se non ci si inventa qualcosa da qui alle europee, rischia di diventare mortale. Alla sinistra italiana non è rimasto che il Centro Italia – come bacino elettorale e spazio identitario. Se cede l’Abruzzo, per di più a favore del centrodestra a trazione sovranista-leghista, alla fine di quest’anno potrebbe toccare all’Emilia Romagna e nel 2020 addirittura all’Umbria, entrambe rosse da sempre almeno a livello di governo regionale. Una catastrofe politico-antropologica solo a pensarci, per gli eredi degli eredi degli eredi di Togliatti e De Gasperi finiti per uno scherzo della storia sotto lo stesso tetto.
Avendo dunque nelle loro mani il destino dell’Italia, chissà se gli abruzzesi questo fine settimana dormiranno tranquilli! Per parte nostra, qualunque cosa dovesse accadere a partire da lunedì non gliene faremo una colpa. Anche perché probabilmente non accadrà un bel nulla, visto che solo al Pd, in questo momento, conviene che salti il banco della politica nazionale. Scenario possibile, ma dopo le europee, quando si saranno definiti i reali rapporti di forza tra i diversi attori in campo.
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