di Luca Marfé
Corea del Nord, Donalòd Trump.Occhi negli occhi con Kim Jong-un.
Parola di Donald Trump che, a meno di 48 ore dal secondo vertice con il dittatore nordcoreano, rassicura la platea di governatori statunitensi giunti alla Casa Bianca per il tradizionale incontro annuale.
«Io e Kim vediamo le cose allo stesso modo, sono felice del fatto che la Corea del Nord abbia interrotto oramai da tempo i suoi test missilistici».
Nel frattempo,
di Luca Marfé

Corea del Nord, Donalòd Trump.Occhi negli occhi con Kim Jong-un.

Parola di Donald Trump che, a meno di 48 ore dal secondo vertice con il dittatore nordcoreano, rassicura la platea di governatori statunitensi giunti alla Casa Bianca per il tradizionale incontro annuale.

«Io e Kim vediamo le cose allo stesso modo, sono felice del fatto che la Corea del Nord abbia interrotto oramai da tempo i suoi test missilistici».

Nel frattempo, il numero uno di Pyongyang è già in viaggio a bordo di un treno speciale. Blindato, super segreto e soprattutto ben piantato per terra, per chi annovera tra le sue mille e più stravaganze la fobia di volare. Gli ci vorranno due giorni e mezzo per raggiungere Hanoi ed il Vietnam, scelti come teatro del bilaterale dopo la Singapore dello scorso anno.

Di concessioni concrete, però, nemmeno l’ombra.

La sensazione diffusa tra gli ambienti della diplomazia di Washington, infatti, è che il dialogo sia, sì, un fatto certamente positivo, ma poggi ancora sulle fondamenta di promesse vuote.

Il tycoon prova a lanciare l’esca del benessere e sostiene a gran voce che a fronte di un reale processo di «denuclearizzazione, la Corea del Nord possa diventare una grande potenza economica».

C’è da considerare, però, l’eventualità che a Kim e ai suoi non interessi affatto entrare nel circuito dei giganti. Che possano viceversa essere più attratti dal mantenere quasi ad oltranza il loro ruolo di outsider, di autentica eccezione, nell’ambito del vasto scacchiere mondiale.

Una sorta di scheggia impazzita che, proprio perché tale, nonostante le sue dimensioni microscopiche riesce a giocare un ruolo enorme.

Un errore, insomma, osservare l’attore orientale attraverso lo sguardo e la logica occidentale.

Non resta che aspettare il comunicato finale, nella speranza che questa volta venga scritto effettivamente alla fine e non sia invece un testo già preconfezionato all’inizio allo scopo di accontentare tutti.

Il rischio, come sempre accade quando c’è di mezzo Trump, è che si percorrano così tanti chilometri più per ostentare delle foto di rito che non per riscrivere la storia di un Paese e di un’intera regione in bilico.

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