di Stefano Berni

Notiamo ormai con una certa apprensione che negli ultimi mesi una certa destra e una certa sinistra si schierano sulle stesse posizioni estreme rispetto al coronavirus contro lo Stato, responsabile, per loro, di avere utilizzato strumentalmente la pandemia per addomesticare e controllare meglio gli individui incapaci di ribellarsi e colpevoli di accettare l’esistente. In nome della stessa idea di libertà inventata dalla democrazia essi sfruttano il disorientamento delle persone per invocare una ribellione contro un presunto Stato di polizia. Essi sobillano i cittadini a non rispettare i doveri, che metterebbero in discussione i diritti stessi della Costituzione. Nel nome di questa libertà di espressione e di contestazione, contro uno Stato considerato autoritario, essi scendono in piazza infischiandosene del distanziamento sociale e dell’utilizzo di mascherine e si arrogano il diritto di negare altri diritti dei cittadini come quello della salute, della sicurezza o del riposo.

Entrambi gli schieramenti contestano una biopolitica che, con la scusa di salvare le vite, in realtà le governano e le manipolano. Uno strano anarchismo si aggira per l’Italia, e lo Stato sarebbe colpevole di una politica apparentemente produttiva ma nei fatti repressiva che negherebbe i diritti inalienabili come il diritto di riunione, il diritto di movimento, il diritto all’istruzione. Si assiste al paradosso che pseudofascisti e presunti antifascisti radical chic contestino la democrazia perché poco democratica, anzi, nelle sue forme biopolitiche, più totalitaria delle loro stesse ideologie. Il paradosso è ancora più marcato se supponiamo che molte di queste persone appartengano spesso a classi sociali più abbienti, frequentino la scuola e le università statali, insegnino, lavorino nell’amministrazione pubblica, e così via.

In un regime democratico, dove la tolleranza è un principio fondamentale della nostra Repubblica, non si può chiedere certo coerenza, pudore e fedeltà; la contraddizione, sia sa, per hegeliani di destra e di sinistra è connatura nella storia. Tuttavia emerge il sospetto che queste reazioni estreme non nascano da una riflessione sensata e da una visione unitaria e condivisa con la maggior parte della popolazione, ma che siano solo strumentali al fine di destabilizzare il Governo. La crisi sanitaria ed economica ha ridestato quei mostri ormai definitivamente sconfitti i quali non vedevano l’ora di menare le mani e provano a sovvertire le stesse istituzioni democratiche. Se prima era lo straniero che riscaldava gli animi con epiteti tra fascisti e antifascisti ora è il coronavirus che suscita le stesse reazioni. In qualcuno vi è forse uno scopo strumentale che è quello di riprendere le redini del Governo, in altri vi è la tentazione di rovesciare il quadro democratico stesso.

Sintomatico, è il caso di dirlo, il paragone che qualcuno fa tra il coronavirus e l’Aids. Per anni l’Aids sarebbe circolato tra la popolazione senza che lo Stato avesse preso particolari provvedimenti così restrittivi e autoritari. Essi allora si chiedono con malizia perché solo oggi si siano adottati rimedi così eccezionali da parte di questo Governo come, per ultimo, la recente richiesta del Presidente della regione Veneto Luca Zaia, peraltro non filogovernativo, di perseguire per legge chi trasmette volontariamente il coronavirus.

Ma ad una più attenta riflessione si capisce bene che il paragone tra coronavirus e Aids non regge. L’Hiv colpiva quasi sempre persone che responsabilmente e scientemente decidevano di rischiare di avere rapporti sessuali spesso non protetti e che riguardavano soprattutto una porzione della popolazione, in particolare, quella omosessuale. Invece il coronavirus può colpire chiunque, indistintamente, senza che uno “scelga” di rischiare. Se le mascherine, come il preservativo, proteggessero la persona che le usa, ognuno sarebbe responsabile di sé stesso e deciderebbe liberamente se rischiare di prendersi il coronavirus in nome della propria libertà anche se costerebbe ai contribuenti la sua eventuale malattia. Ma, purtroppo, le mascherine, nella maggior parte dei casi, non proteggono chi le indossa, semmai salvaguardano l’altro. In questo caso è dovere dello Stato proteggere il cittadino che non è responsabile di qualsiasi idiota che decida di passare con il semaforo rosso in nome della sua presunta libertà come se questa fosse un diritto di natura inalienabile e non invece costrutto storico-sociale che deve tener conto delle relazioni con gli altri. Ricordiamo en passant ai fanatici della libertà che essa non va confusa con un generico slancio di liberazione (free-dom), e che la libertà (liberty) in uno Stato di diritto deve mediare con molte forme individuali di libertà che devono però essere normate sulla base delle leggi tout court.

Oltretutto lo Stato stesso ha cercato più di convincere che di obbligare, e nel caso della proposta di Zaia essa è convincente a tal punto che è l’unica cosa che si possa collegare all’Aids. Ricordiamo infatti che nel caso in cui qualcuno, malato di Hiv, decidesse consapevolmente di avere rapporti sessuali soprattutto non protetti con un altro, è punibile e perseguibile penalmente. Non si capisce allora perché se uno, volontariamente, malato di coronavirus, decida di incontrare altre persone, sapendo che potrebbe infettarle, non sia ugualmente imputabile dello stesso reato penale.

Certo, la Stasis, questi prodromi di ribellione sociale non sono ancora in grado di minacciare per fortuna la nostra democrazia che per adesso può tollerare anche chi, in modo irragionevole, tenta di sobillare il popolo. Tuttavia sono fenomeni che vanno osservati soprattutto se il coronavirus dovesse riaffacciarsi, se la maggior parte delle persone rifiutassero di vaccinarsi e se la crisi economica perdurasse fino ad investire la maggior parte della popolazione.

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