di Alessandro Campi
Ai tanti misteri della storia d’Italia da tre anni se n’è aggiunto uno assai intrigante: Giuseppe Conte. Mistero non giornalistico-giudiziario, nulla dunque a che vedere con i morti eccellenti e i tentativi di eversione che hanno scandito la vita della Repubblica, ma schiettamente politico. Chi è esattamente, al di là delle biografie ufficiali? Come ha fatto a trovarsi nel ruolo che ricopre? Dove vuole arrivare, visto dove è già arrivato? Donde nascono le abilità che sta certamente dimostrando?
Purtroppo le risposte che talvolta si danno a queste domande – come nel divertente siparietto televisivo di qualche giorno tra un tenebroso Filosofo e un celebrato Giornalista – non fanno altro che aggiungere nebbia a nebbia. Si sostiene infatti che un uomo senza storia politica, sconosciuto alle masse e di media reputazione accademica, divenuto improvvisamente capo del governo (anzi, di due governi, che potrebbero diventare tre), non può che nascondere un grande segreto. Nel senso che la sua forza, altrimenti inspiegabile, dipende evidentemente dal sostegno che gli assicura qualche potenza che per essere veramente tale è anche pubblicamente indicibile.
Ma così argomentando si resta sul terreno – ora divertente, ora inquietante – delle allusioni-insinuazioni tipiche d’un certo immaginario cospiratorio oggi assai popolare. Facile a riconoscersi proprio per la disinvoltura con cui coloro che credono di andare alla ricerca della realtà ultima delle cose tendono a mescolare, nei loro ragionamenti cervellotici, il Vaticano coi Servizi segreti, la Massoneria con la Finanza internazionale. A quale grado di verità si pensa di arrivare lasciando credere (o credendo) che Conte sia appunto la longa manus o comunque l’espressione politica di una di queste forze, o magari di tutte esse messe insieme?
In realtà, per spiegare l’emersione dal nulla e la capacità a durare dell’attuale Presidente del Consiglio, che in effetti suonano come un enigma, non serve ricorrere alla storia occulta. Basta essere consapevoli dello sfascio inarrestabile del sistema politico-partitico italiano e del fallimento di tutti i tentativi che sono stati fatti per riformarlo o riscostruirlo su basi nuove.
Alla fine doveva accadere che nel vuoto di classe politica prodotto dal collasso dei partiti, nel generale clima di rivolta contro le istituzioni e i suoi rappresentanti legali, nel venire meno delle regole e convenzioni che per decenni hanno retto la vita pubblica italiana, nel prevalere di un sentimento collettivo fatto di rabbia e sfiducia verso ogni potere o autorità, si materializzasse una figura quasi anonima, del tutto estranea, almeno all’apparenza, a qualunque gruppo organizzato o blocco di potere. E in effetti è accaduto.
Da Tangentopoli in poi l’Italia le ha in effetti provate tutte per darsi un minimo di stabilità e per tornare a crescere come economia: il Cavaliere, il Banchiere, il Professore, l’ex-Comunista, il Dottor Sottile, di nuovo il Cavaliere il Professore e il Cavaliere, il Tecnocrate Anziano, il Tecnocrate Giovane, il Rottamatore, il Nobiluomo. Ma senza grandi risultati. Quando, nel 2018, i dioscuri del cambiamento (Salvini e Di Maio) vinsero le elezioni, giocando sul risentimento sociale e le paure spesso irrazionali degli elettori, serviva qualcuno che mediasse tra i due, senza fare loro ombra: un non-capo politico, un gregario di fiducia, un volto non nuovo ma nuovissimo che fosse in primis rassicurante.
Conte è nato così, su segnalazione di amici degli amici, sulla base d’una selezione occasionale e informale, concepibile solo in un Paese politicamente destrutturato com’era ormai l’Italia. Il resto è venuto strada facendo. Perché se da un lato il potere è un’arte che si apprende mentre lo si esercita e una condizione di privilegio alla quale presto ci si affeziona, dall’altro contano le disposizioni caratteriali (l’uomo è più abile di quanto previsto da chi lo scelse), l’uso opportunistico che si riesce e fare delle contingenze, gli errori e le debolezze di avversari e amici, i colpi di fortuna e la qualità dei tempi. Tutte cose che, contro molte previsioni, hanno giocato a favore di Conte.
La mancanza di una storia politica (o di un partito alle sue spalle), ad esempio, è divenuto per lui un titolo di merito. L’abito mentale naturalmente incline al compromesso il mezzo per tenersi a galla in ogni circostanza. L’assenza di ancoraggi ideologici la scusa per cambiare idea anche su questioni dirimenti senza mai dover dare troppe spiegazioni. La buona presenza mediatica la premessa per un’abile campagna di costruzione del personaggio (da statista super partes moderato e non da uomo politico partigiano urlante). L’indubbia competenza avvocatesca e le pregresse esperienze professionali lo strumento per destreggiarsi, a tutti i livelli, nei meandri della macchina pubblica e per costruirsi un’autonoma rete di potere e sodali.
Lo hanno poi aiutato, oltre i suoi meriti, i comportamenti di molti attori. L’Europa impaurita dall’Italia laboratorio del populismo sovranista che al posto di Salvini avrebbe accettato chiunque; un Pd programmaticamente confuso, privo di una conduzione politica unitaria e ossessionato dall’essere partito di governo ad ogni costo che ha finito per adottarlo, con spirito potenzialmente suicida, come suo uomo-simbolo; l’inutilizzabilità a certi livelli e la confusione di idee del personale politico grillino; la vacuità propagandistica dimostrata in molte occasioni dal centrodestra; la copertura sempre garantitagli dal Colle anche per quella rassicurante aria di famiglia, di stampo vetero-democristiano, che caratterizza Conte già al primo sguardo.
La pandemia, catastrofe non prevista, ha chiuso il cerchio: accrescendone al tempo stesso il gradimento agli occhi degli italiani e le ambizioni personali (diventare il governante più longevo della storia italiana, ambire alla poltrona del Colle, fondare un partito personale). Almeno sino a che l’emergenza, divenuta da sanitaria anche sociale ed economica, non ha fatto emergere dubbi crescenti sul suo stile di governo troppo accentratore e sulle sue effettive capacità decisionali. Ne è nata la crisi formalmente innescata da Matteo Renzi, dagli esiti ancora imprevedibili, ma dalla quale potrebbe forse arrivare la risposta al mistero evocato all’esordio: Conte – il mite professore di diritto venuto da chissà dove, dall’eloquio pacato e dal tratto signorile, il senza partito che i partiti li tiene tutti sotto il suo tallone – è davvero, come accennato, il prodotto occasionale d’un sistema istituzionale impazzito, giunto probabilmente al capolinea della sua bizzarra ed esaltante avventura o – come sostengono i suoi non pochi estimatori – l’iniziatore di una stagione politica di cui sarà ancora a lungo il principale protagonista?
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