di Riccardo Cavallo
Cristina Cassina (a cura di), Balzac politico, ETS, Pisa 2021, pp. 209; Giuseppe Guizzi, Il “caso Balzac”. Storie di diritto e letteratura, il Mulino, Bologna 2021, pp. 296
A distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, due volumi cercano di indagare il duplice e inaspettato volto politico-giuridico di un’opera monumentale come quella di Balzac che, ancora oggi, a distanza di circa centosettant’anni dalla sua morte, non smette di suscitare interrogativi che, in un modo o nell’altro, coinvolgono studiosi appartenenti a diversi ambiti del sapere. Innumerevoli, del resto, sono le figure che popolano le migliaia di pagine della Comédie humaine: dagli avvocati, ai magistrati, ai notai, fino ai banchieri, agli affaristi, passando per alcune leggendarie figure di delinquenti, tra cui, spicca soprattutto quella di Vautrin.
In ogni caso, dagli scritti di Balzac emerge un ritratto impietoso delle contraddizioni che attraversano la società ottocentesca che forse solo la penna di un grande letterato poteva coraggiosamente denunciare come lo sfruttamento e il malaffare del milieu francese negli anni della Restaurazione e della Monarchia di Luglio. Se da un punto di vista economico-sociale Balzac documenta l’ascesa della borghesia nella prima metà dell’Ottocento, da un punto di vista strettamente giuridico tutta la sua riflessione ruota, direttamente o indirettamente, attorno al codice civile per antonomasia: il Codice Napoleonico. Non a caso, l’apprendistato di Balzac era avvenuto nelle austere stanze degli uomini di legge che – come documenta Guizzi – “sono stati i luoghi di elezione per osservare la realtà, i luoghi privilegiati in cui ha potuto scrutare, attraverso le loro azioni, l’animo degli uomini, scoprirne i vizi, e in primo luogo la malvagità e la cupidigia” (p. 27).
Allo stesso modo, anche gli studi universitari, all’interno delle aule dell’École de droit ubicata in Place du Pantheon e il magistero dei docenti, tra cui Guizzi, non manca di annoverare il civilista Thomas Pascal Boulage che presumibilmente possano aver influito sulle sue conoscenze di diritto sostanziale, ovvero quelle relative al diritto civile e commerciale nei cui meandri Balzac riesce sempre ad insinuarsi con maestria non mancando di confrontarsi con alcuni dei nodi problematici più significativi della scienza giuridica del tempo. Basti pensare alle tematiche sviscerate nel “caso Balzac”: dalla centralità del contratto e alle sue complesse dinamiche ancora in fieri, alle violente lotte e agli altrettanto crudeli intrighi per accaparrarsi l’eredità, oppure alle molteplici cause di insolvenza e fallimento che imperversavano nella Francia dell’epoca, come pure la speculazione finanziaria al tempo della Restaurazione.
Si tratta di questioni che non rimangono confinate nel solo ambito giuridico ma investono, a tutti gli effetti, anche la sfera del ‘politico’ intesa lato sensu. Pertanto le incursioni all’interno di quest’accidentato terreno, assumono anch’esse, nella riflessione di Balzac, un’imprescindibile rilevanza come documentano gli scritti del volume collettaneo curato da Cristina Cassina che mirano ad offrire una testimonianza del tutto peculiare sulle molteplici accezioni del ‘politico’ nell’opera balzachiana. Tant’è che la Comédie, oltre ad essere oggetto di numerosi adattamenti cinematografici (Campanile) e teatro di innumerevoli vicende giudiziarie (Bufano), possiede anche una sua inconfondibile dimensione politica (Tesini) come emerge, per esempio, dalle pieghe del romanzo Le Médecin de campagne (Di Bello), forse quello più politico, della sua produzione letteraria, oppure come si evince dalla trama del romanzo politico-parlamentare Le Député d’Arcis, un altro genere letterario, con il quale si era cimentato Balzac (Griffo). La riflessione di Balzac muovendosi tra sociologia e romanzo storico (cfr. Portinaro) rappresenta altresì un formidabile resoconto dei rivolgimenti sociali innescati dal capitalismo, in grado di anticipare, per via letteraria, alcuni celebri passi marxiani (Trocini).
Non a caso, Marx nutriva una profonda ammirazione nei confronti del realismo di Balzac tanto da aver in procinto di scrivere, come confida a suo genero Paul Lafargue, un volume sul romanziere francese. Da qui le diverse sfaccettature del ‘politico’ balzachiano, i vizi e le virtù della borghesia ottocentesca nonché la critica impietosa della politica francese del tempo, appannaggio di soggetti senza scrupoli mossi esclusivamente da pulsioni di tipo economico, ma anche le idee politiche del romanziere francese (elogio del governo misto, critica del parlamentarismo e del suffragio universale etc.) che, sin da giovane aveva deciso, senza successo, di partecipare attivamente alla vita politica francese e che lo rendono molto vicino al pensiero reazionario e/o anti-moderno.
È indubbio comunque che tali testi gettano nuovi squarci di luce sull’opera di Balzac che – a partire dall’intreccio spesso indissolubile tra la dimensione giuridica e quella politica – si irradiano in mille direzioni, allo stesso modo di quel groviglio di colori che il pittore Frenhofer descritto da Balzac nel suo Le Chef-d’œuvre inconnu crede essere la realtà.
Riccardo Cavallo è ricercatore di Filosofia del diritto e docente di Legal Theory presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania
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