di Silvio Minnetti
Michael J. Sandel, La tirannia del merito. Perché viviamo in una società di vincitori e di perdenti, Feltrinelli, Milano 2021, pp. 288
Viviamo nell’epoca della meritocrazia, in una società di vincitori e di perdenti, afferma Michael Sandel, che insegna Teoria del Governo ad Harvard. È questa una società giusta? La politica ha svolto la sua funzione di regolazione, moderazione, redistribuzione di opportunità?
Senza uguaglianza di quest’ultima infatti vincerà sempre chi ha più mezzi. Chi perde se la prende con sé stesso in una cupa frustrazione. Il merito rischia di diventare una tirannia che mette in crisi la stessa democrazia. La retorica dell’ascesa verso la piena realizzazione del proprio talento, attraverso il massimo impegno personale in epoca di globalizzazione, va a cozzare con la crescita enorme delle disuguaglianze. Le élite progressiste si allontanano da chi risulta perdente in questo gioco del merito senza pari opportunità. Così possiamo comprendere le rivolte populiste, degli ultimi anni, di un esercito di perdenti contro le élite democratiche. Dobbiamo allora imparare ad ascoltare le ragioni della rabbia e del risentimento di molti ceti popolari impoveriti. Dopo Brexit, Trump e movimenti estremisti in Usa ed Europa, dobbiamo costruire una nuova strada verso il bene comune.
I vincitori ed i perdenti si delineano nell’ epoca della globalizzazione amica del mercato. Si è sviluppata negli ultimi decenni una vera e propria etica meritocratica che si è accompagnata di fatto ad una politica di umiliazione di larghi strati popolari, alla base della ribellione populista. Si è diffusa l’idea che il merito è fondamentale per ottenere salute e ricchezza nella consapevolezza, anche liberal, di essere dalla parte giusta della storia. Puoi ottenere ciò che vuoi se ci provi. Va fin dove il tuo talento ti condurrà. Si è vista la formazione come risposta alle disuguaglianze, la laurea come strumento di selezione dei migliori e più brillanti ma il divario è aumentato vista la scarsa mobilità sociale. Si è sviluppata una vera e propria etica del successo ma è vero che ci meritiamo i nostri talenti o sono determinanti le condizioni sociali di partenza?
Alla fine si è imposta una sorta di tirannia del merito con una macchina selezionatrice assai imperfetta, afferma Sandel (in basso, nella foto). Una cosa è certa: sono aumentate le disuguaglianze. L’assegnazione della stima sociale ha fatto crescere tracotanza, umiliazione e rabbia. È pertanto arrivato il momento di un cambiamento attraverso la tutela e la valorizzazione del lavoro nelle sue varie espressioni. Ogni lavoro infatti ha la sua dignità. Dobbiamo ridurre le morti per disperazione, assai diffuse in Usa, e restringere le fonti del risentimento sociale. L’uguaglianza delle opportunità spesso non esiste. Dobbiamo allora coniugare merito e bene comune, democrazia e umiltà, se vogliamo spegnere i fuochi dei populismi.
Domandiamoci ora: meritocrazia e nuova élite potranno salvare l’Italia? Non una casta di privilegiati ma il “governo dei migliori”, come nel significato originario. Roger Abravanel, in Aristocrazia 2.0 (Solferino, Milano, 2021), affronta il tema di Sandel dalla prospettiva del merito di una nuova élite con prospettiva multidisciplinare. È la questione della trasformazione dell’Università e della ricerca per costruire il futuro. È nei momenti di crisi infatti, che si mettono in gioco visioni costruttive per la rinascita del Paese. Occorre incidere su qualità delle classi dirigenti, equilibrio tra i poteri, snellezza delle istituzioni. Il nuovo sistema economico che ne deriverà deve attraversare percorsi virtuosi e un nuovo paradigma dello sviluppo sostenibile. Dobbiamo superare i limiti del nostro capitalismo familiare. È sotto gli occhi di tutti il problema italiano: il ricambio della classe imprenditoriale e politica per uscire dal lungo declino. È possibile una nuova élite del talento e della competenza per portare l’Italia fuori da decadenza e povertà? Possiamo avviare un nuovo Rinascimento italiano valorizzando il merito contro rendite, familismi, furbizie e illegalità? I privilegi bloccano la crescita del Paese. I vizi del sistema economico e sociale italiano, evidenti in una parte della storia imprenditoriale, hanno fatto aumentare il divario con i Paesi europei più avanzati. Il Pil ha perso 32 punti nell’ultimo trentennio.
Come fondare un nuovo modello di sviluppo equo e sostenibile basandoci su Università di eccellenza, riequilibrio dei poteri, funzionamento della giustizia? La svolta, con il Pnrr da spendere per oltre 200 miliardi, non è più rinviabile. Il declino va avanti da più di un quarto di secolo. L’Italia non cresce perché è organizzata in modo inefficiente ed iniquo. Le rendite di una minoranza frenano le opportunità di molti. Serve una svolta culturale. Abbiamo bisogno di innovazione a tutti i livelli con uno Stato capace di attivare imprese, cittadini, associazioni al servizio dello sviluppo e del benessere di tutti. Stato innovatore, non solo riparatore di storture nelle continue emergenze. Una società civile organizzata in sussidiarietà orizzontale rispetto allo Stato taumaturgo di tutti i mali. Serve un Paese della responsabilità civile diffusa, degli investimenti a servizio della comunità, delle pari opportunità, della valorizzazione dei talenti senza fuga dei cervelli all’estero, della solidarietà con le fasce deboli. In conclusione, il merito rappresenta una tirannia o una opportunità?
Silvio Minnetti, Coordinatore Alfa-Terzo Settore, collaboratore Citesec-Unimc
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